domenica 12 febbraio 2012

K&K operazione Cerro Torre “Il giorno prorompe in tutta la sua bellezza, spazzando via i fantasmi della paura della notte”

Poche settimane fa due giovani alpinisti nordamericani hanno schiodato la Via del Compressore sul Cerro Torre. I siti di alpinismo di tutto il mondo ne parlano e la comunità alpinistica mondiale è divisa tra chi è a favore e chi è contro. Ognuno prende posizioni, nella maggior parte dei casi, assolute. Qui provo a prenderne una anch'io perché amo il Torre e, in qualche modo, quasi tutte le persone che ci si sono spellate le dita sopra.


In vita mia due persone mi hanno fatto sognare: Roger Waters e Cesare Maestri.Prima di morire vorrei cenare con il primo, magari suonarci la chitarra e parlare di musica, mentre col secondo ho cenato una sera, io e lui, davanti a una bottiglia di quello buono e abbiamo parlato della vita. Anche del Torre, ma soprattutto della Patagonia in generale e delle donne argentine. Perché siamo due uomini.


“2000 metri della nostra vita” è uno dei più bei libri che io abbia letto da ragazzo e mi ha cambiato la vita. Sì, perché ho deciso di fare l’alpinista e pure di viverci, proprio dopo quella lettura. E’ un libro anche pieno di retorica e orgoglio, sentimenti di cui sono privo, ma che sono profondamente umani.
Quella sera mi tremavano le gambe sotto il tavolo perché stavo parlando con uno dei miei due idoli, e dopo di allora la mia stima e simpatia verso Cesare Maestri crebbero ancora di più.
Mi è sempre piaciuta la sua frase: l’alpinismo è bello perché ognuno lo fa come vuole! Così slegata da canoni e regole che parlare d’etica sembrerebbe come portare il diavolo a pregare in chiesa.


E’ stato proprio Rolo Garibotti, la scorsa estate, a farmi notare che sulla Sud della torre Trieste in Civetta c’é una lunga fila di chiodi a pressione che si chiama Via della Libertà. Ci abbiamo riso su perché ci è sembrata assurda, a vederla con gli occhi di oggi, ma penso che chi aprì quella via tanti anni fa in quel momento si sentisse libero.
Quando Cesare Maestri stava cercando i soldi per partire per la Patagonia nel ’70 avrebbe fatto qualsiasi cosa per trovarli. Aveva un fuoco dentro che ardeva che ho visto anche in Colin Haley prima di un’annunciata finestra di bel tempo in Patagonia, tanto per restare in argomento.
Nel lussuoso ufficio del responsabile dell’Atlas Copco a Milano il “compressore” l’avevano nascosto dietro a una tenda, quel giorno del 1970, e a Maestri avevano messo in mano una pistola che forava il granito (ce n’era un bel blocco lì sul pavimento) come fosse burro. L’assegno per partire era già pronto e firmato lì sul tavolo e Cesare Maestri se lo mise in tasca con gli occhi lucidi dall’emozione. Dopo le strette di mano di rito e con un piede già fuori dalla porta, Maestri venne richiamato col tono di chi ha un dettaglio dell’ultimo momento: dimenticavo di dirle, caro Maestri, che per fare funzionare la pistola dovrà portarsi in Patagonia questo. E scorrendo la tenda, dietro la quale si insinuava un tubo di gomma blu, apparve il “mostro”: un compressore a motore a scoppio che per farlo funzionare sarebbero serviti in più, benzina e… ricambi, non si sa mai. Lo porterà con sé, vero? Sì, fu la risposta. E voi cosa avreste risposto?


Certo, il Torre è così bello che proprio là doveva andare a piantare tutti quei chiodi, cazzo, ma l’avventura che quegli uomini vissero d’inverno in un posto sperduto com’era l’estancia Fitz Roy (così si chiamava il posto dove oggi c’è El Chaltén) fu una di quelle che sarebbe piaciuto vivere a ognuno di noi.
Mi ricordo ancora dell’anarchia patagonica di ormai molti anni fa, quando arrivavi ai piedi delle montagne e ti costruivi una casa con accetta e tronchi. Provate a farlo ora. E non solo queste cose sono cambiate laggiù.


Portare il compressore lassù sta a Maestri e compagni come la casetta di Infinito Sud sta a Salvaterra e compagni. Non giudico lo stile ma il lato simbolico, quasi mitologico, e soprattutto la componente avventurosa delle due imprese. Chapeau, mi viene da dire a entrambi i team.
E poi la storia del ’59, sarà pure una bugia, perché lo è, ma questo non toglie nulla alla stima che ho per Maestri, semplicemente perché è un uomo con tutti i suoi pregi e difetti. Per me il pregio più grande è stato quello di avermi fatto sognare cambiandomi la vita, non è poco.
Parlando con Rolo e altri amici di El Chaltén, ho sempre sostenuto che una pecca editoriale di “2000 metri della nostra vita” è stata quella di non avere avuto la traduzione in lingua inglese e sostengo tutt’ora che andrebbe fatta. Molti dei suoi detrattori rivaluterebbero scelte da lui fatte a suo tempo e, cosa molto più importante, il suo lato umano, insieme a quello della coautrice e moglie Fernanda. Non parlo mai di quello alpinistico, se ne parla già troppo. Il figlio Gian dovrebbe animarsi e trovare un editore inglese o americano.
Personalmente ho la massima stima sia di Rolo Garibotti, che è un mio caro amico, sia di Cesare Maestri e credo che la polemica che li vede da molto tempo contrapposti esista perché sono due personaggi “estremi” agli estremi di due epoche. La precisione di Rolo nella sua indagine sulla presunta via del ’59 conclusasi con la salita, per ben 2 volte, di quel versante lo mette ai miei occhi tra i più meticolosi, oltre che bravi, alpinisti di tutti i tempi. Maestri, di contro, ha sempre detto di non essere un ”preciso”, ma di essere semmai, sintetizzo io, un sanguigno poco incline a tenere diari e annotazioni.
Ho apprezzato molto l’esempio fatto da chi ha scritto che tutti esultiamo se si demolisce un ecomostro architettonico degli anni ’70 -tranne il proprietario forse, aggiungo- e quindi dobbiamo essere contenti che K&K abbiano tolto i chiodi di Maestri sempre del ’70. Non fa una piega. Io sono per la pace, quindi dico grazie a Cesare Maestri che li ha piantati e grazie a K&K che li hanno tolti.Certo che l'azione in sè avrebbe potuto essere più democratica, ma capisco pure che da lassù prendere decisioni democratiche è pressoché impossibile.


Il Torre, a cui di tutta ‘sta storia non gliene frega niente, resterà la montagna più difficile del mondo per gli appassionati di record, ma per gli amanti dell’avventura, ovvero dell’incertezza, sarà sempre teatro di gesta umane indimenticabili. Questo è l’alpinismo, secondo me.


La storia resta,come restano ora i buchi nel granito, e io ogni tanto me la rileggo e mi emoziono ogni volta esattamente come mi emoziono leggendo quella pagina del catalogo Patagonia (quella che fa i vestiti) in cui Rolo racconta la traversata dal Cerro Standhardt al Torre. Lì gli estremi si toccano, sono entrambi umani.


“Il giorno prorompe in tutta la sua bellezza, spazzando via i fantasmi della paura della notte”. C’è tanta poesia e tanta realtà e umanità in una frase come questa, se non sbaglio è la didascalia di una foto in “2000 metri della nostra vita”, che da sola vale l’esistenza stessa del Cerro Torre e i suoi dintorni. Anzi no, ci metto anche il pensiero di Rolo a sua nipote quando è arrivato stremato in cima al Torre dopo la traversata. Leggetevelo se non l’avete ancora fatto.
Questa della schiodatura del Torre è una storia in sette ottavi, come il giro di basso di Money scritto da Waters nel ‘72,(formidabili quegli anni) irregolare ma perfetta per l’orecchio e il cuore.
mc