Beatrice salendo oltre il Lago del Desierto-Argentina |
Giorno 1
Chaltén. Svegliata dal
sibilo del vento fuori decisamente forte. Ecco, se in Patagonia ti aspetti che
succeda qualcosa, stai pur certo che succederà il contrario. Il giusto
monito per settare le aspettative.
Colazione, briefing, e
poi “monta bici”. Un po' di ansia perché non sono proprio certa di esserne
capace, ma invece riesco bene e da sola. Nel frattempo il vento non accenna a
smettere e mi chiedo come sia possibile pedalare con quella forza contro. Poi
però non c’è più tempo per le esitazioni, bisogna andare - alle 16.30 dobbiamo
prendere una barca, altrimenti domani partiamo già in svantaggio. Quindi ci
mettiamo in marcia e dopo pochi metri inizia subito lo sterrato.
Ed iniziano subito le
raffiche.
In via del tutto
inaspettata per me, riesco, riusciamo tutti ad affrontare il vento e a pedalare
senza farci sbilanciare. E così cominciamo ad avanzare. Piano ma decisi. Finché
non inizia a tirare proprio forte forte. La sabbia negli occhi, le buche. Ora
capisco perché della Patagonia tutti si ricordano il vento. Non smette mai. Non
dà tregua. Però non ci si può fermare. Vorrebbe dire rinunciare al viaggio
prima ancora di partire. Per cui occhi chiusi e via. Si cominciano a macinare
un po' di km. Fino ad arrivare al rifugio El Pilar. Un posto incantevole, fuori
dal tempo. Ai piedi del Fitz Roy, che però si fa vedere solo a metà, mannaggia
a lui. Ci rifocilliamo con un panino e via che si riparte, con l'entusiasmo e
l'impegno di arrivare alla barca in tempo.
La strada si addentra
in una sorta di bosco un po' più riparato dal vento, per cui guadagniamo
velocità e la speranza di arrivare per tempo si fa sempre più realtà.
Ci facciamo coraggio
l'un l'altro: “dai forza il mio obiettivo è arrivare alla barca in tempo e
prendere una birra con i soldi della cassa!!!”
E infatti ce la
facciamo, arriviamo al molo che la barca è ancora attraccata. Ci raggiunge
anche Andrew, un ragazzo di New Castle che è in viaggio da Ushuaia. Ha borse
ovunque sulla bici. Non so come faccia!
Attraversiamo il lago
accompagnati da raffiche di vento incredibili che sollevano nuvole
d'acqua.
Intanto, un po' anche
per la stanchezza, facciamo battute sceme e io mi appisolo sulla panchetta,
cullata da movimento della barca. Mi sveglio con il rumore dell'attracco.
Eccoci arrivati dall'altra parte del lago del Desierto.
Ci accampiamo su di un
bel prato, a fianco alla gendarmeria. Non siamo soli. Ci sono altri ragazzi. I
gendarmi (da qui abbandoneremo per un paio di giorni l'Argentina, devono
controllarci i passaporti) ci dicono che per la sera possiamo usare il quincho
(sorta di riparo con tettoia) e fare il fuoco.
Ci aspetta un
fantastico menù saikebòn e tonno in scatola.
Mentre mangiamo
cerchiamo di creare un po' di più questo gruppo scalcagnato.
Alla fine riusciamo
anche a fare quasi tardi di chiacchiere. Poi vince la stanchezza e tutti a nanna,
un ultimo sguardo verso il Fitz Roy, che continua a rimanere nascosto a metà, e
poi nanna che il cielo è ancora chiaro.
Giorno 2
La notte ricomincia a
tirare vento che porta nuvole cariche di pioggia. Infatti mi sveglio che il
materassino è un po' bagnato, però poi la vista si allieta subito perché di
fronte a noi la punta della grande montagna fa capolino.
Torniamo alla capanna
con il fuoco per fare colazione e diamo fondo alle scorte. Dobbiamo in qualche
maniera non mangiare tutto perché c'è anche il pranzo da gestire.
Timbro sul passaporto,
foto di gruppo e poi si parte direzione Cile.
Marcello dice che i km
da fare oggi sono pochi, ma c'è una salita di 6 bella tosta in cui
tendenzialmente si spinge e basta.
Altro che tosta!
Tostissima. Io sarò anche forte di gambe, ma di braccia sono davvero un
tapino...e si comincia a salire duro da subito. Una cavolo di pendenza. Sassoni
e radici, un sentiero che sembra più uno scolo per quanto è stretto e impervio.
In alcuni punti una fatica pazzesca. Sento i tricipiti bruciare. Spingo con il
corpo, con tutto il mio peso, ma davvero una fatica grande. Ci sono anche
ruscelletti più o meno fangosi da guadare. Le scarpe e le calze sono ormai
piene di fango, si continua ad avanzare. Dopo più o meno 4 ore arriviamo al
confine con il Cile affamati. Divoriamo le scatolette di tonno e i crackers
rimasti. Ci raggiunge anche Andrew. Come cavolo avrà fatto con quel peso?
Infatti è stravolto.
Via di nuovo. Abbiamo
la barca per O' Higgins e ne passa solo una alla settimana. Non dobbiamo
perderla. E poi stasera si dorme in ostello! Evvai!! La doccia!!!! Mentre ci si
incoraggia, ecco che si presenta davanti ai nostri occhi il lago San Martin/O’Higgins.
Una distesa immensa di color ghiaccio incastonata tra montagne verdeggianti.
Uno spettacolo da togliere il fiato. Ci fermiamo. Fotografiamo. Ma già so che
quell'emozione non verrà restituita da una foto. Perché la foto non è una
conquista. Arrivare lì su lo è.
E a rendere il tutto
ancora più incredibile, sentiamo il nitrito di un cavallo alla nostra destra.
Un esemplare elegantissimo di cavallo forse selvaggio. Fermo. Bellissimo.
Guarda il lago e poi si allontana. Che visione!
La strada ora comincia
a scendere piuttosto in verticale. Con tanta ghiaia. E per quanto me la sia
cavata bene sino ad ora, complice anche un po' di stanchezza, sento di avere
meno il controllo della bici. Cado anche in una curva. Ma Marta, con grande
tenerezza, mi aspetta e mi aiuta. È una donna premurosa e dalla fibra forte. È
bello sapere che c'è.
Finalmente arriviamo
dai carabineros cileni, i quali dopo aver controllato e timbrato i passaporti
ci informano che la barca oggi non è arrivata. Che potrebbe arrivare tra domani
e venerdì (oggi è mercoledì). Quasi increduli ce lo facciamo ripetere 2 volte.
Pare che per via del vento nessuna barca sia autorizzata a salpare. Chissà
se davvero questa è la motivazione, ma tant’è.
Perdersi d'animo è
vietato. Fortuna che c'è un campeggio e possiamo accamparci e rifocillarci (non
abbiamo davvero più nulla da mangiare). Ci dirigiamo quindi verso la tenuta di
Ricardo, nipote di Candelario Mancilla del libro In Patagonia di Chatwin.
Marcello ci racconta del loro primo incontro e di come abbia avuto modo di conoscere
proprio lui, Candelario Mancilla. Io lo posso solo vedere incorniciato in una
foto vecchia appesa ad una parete viola, con accanto un orologio a forma di
doppio cuore.
La casa di Ricardo è
accogliente. Ma caldissima, sembra la casa da cui si produce il calore del
mondo. La stufa che va in continuazione ed i fornelli fanno sì che all'interno
vi sia una temperatura sahariana. Mangiamo un brodo caldo e poi un super piatto
di pasta, patate, carote e carne. Tutto sembra buonissimo. Probabilmente lo è
anche per davvero.
Ci diamo la buona
notte e torniamo in tenda, con la speranza che domani arrivi "el
barco".
Giorno 3
Dormo bene. La fatica
del giorno prima sicuramente aiuta a far emergere bisogni primordiali. Dormire,
mangiare. Infatti, nonostante la sera prima avessimo mangiato con abbondanza,
mi sveglio comunque affamata e sono contenta di essere da Ricardo. Significa
che la colazione sarà abbondante anch'essa. Ricardo fa il pane tutti i giorni,
nella stufa “genera calore”.
Ma non solo. Si occupa
di tutto lì. Degli animali, degli ospiti, del cibo, della stazione
meteorologica, dei lavori, della costruzione di una nuova struttura in legno
per il campeggio, delle comunicazioni radio. Della mamma, una donna che sembra
vecchissima ma probabilmente non lo è. Si aggira per casa. Sparisce e riappare
con la sua camicia di flanella a scacchi. Si siede accanto alla stufa e lì vi
resta a lungo. Come farà lo sa solo lei.
Facciamo colazione quindi,
e poi discutiamo sul da farsi: quanti giorni possiamo permetterci di aspettare
la barca, quando invece diventerà necessario tornare indietro, se tagliare un
pezzo del percorso, dove eventualmente prendere prima un autobus. Alla fine
siamo tutti per continuare. Oggi ci concederemo una giornata di riposo. Anche
gli altri ragazzi che sono accampati con noi fanno un po' di conti rispetto ai
giorni, ai soldi, al fatto che devono raggiungere un villaggio perché hanno
ormai finito i viveri.
Una dimensione davvero
diversa da tutto quanto provato finora.
In ogni caso il
fermarsi riporta immediatamente con il pensiero lontano. Prima pensi a
pedalare, a spingere la bici, a mangiare, a dormire e riposare. A ricordare
tutto quello che stai vivendo per non perdere pezzi in giro per la memoria.
Fermi, riemergono preoccupazioni per quello che si è lasciato a 18000 km di
distanza, riemergono i problemi del lavoro di cui ho letto le mail senza poter
far nulla prima di iniziare a pedalare. Riemergono i pensieri che la fame e la
fatica avevano un po' sottaciuto. E poi si sentono i dolori ai muscoli, che se
stessimo ancora andando non avremmo modo di sentire. Strano fermarsi.
Giorno 4
Mi sveglio alle 5 e
mezza. Mi scappa la pipì, ma non ho voglia di uscire dalla tenda, si sta bene
in questo teporino. Però non riuscirò a resistere fino alle 8, quindi decido
che è proprio il caso di alzarsi. E lo fa anche il sole più o meno nello stesso
momento. È appena spuntano da dietro le montagne di fronte.
Faccio un respiro
profondo mentre guardo il sole sorgere. Silenzio.
Vado a far pipì e
torno in tenda.
Alle 8:30 più o meno
ci troviamo nella cucina di Ricardo. C'è anche il gruppo di francesi arrivato
ieri sera. Davvero antipatici. La guida loro invece è un ragazzo cileno davvero
simpatico e paziente. Preferisce fermarsi a chiacchierare con noi.
Sistemiamo la cucina.
Salutiamo la mamma di Ricardo e torniamo alle tende per cominciare a
rimettere a posto. Marcello non smonta la tenda "finché non vedo apparire
la barca" dice "sennò porta sfiga".
Poi ad un certo punto
si alza per un rumore che percepisce solo lui e corre verso il molo. Torna
urlando "veloci, veloci! La barca riparte ora! Pronti in 5 minuti". Quindi
chiudiamo tutto, smontiamo le tende, armiamo la bici e in meno di 5 minuti
siamo al molo. Neanche il tempo di salutare le persone conosciute che siamo già
in acqua.
Finalmente capiamo
perché la barca non arrivava, le onde e il vento sono davvero forti, prendiamo
delle gran botte durante la navigazione...non consigliabile per chi soffre la
barca.
Dopo 2 ore e mezza di
viaggio e di sballottolamento arriviamo finalmente dall'altra parte del fiordo
del lago O’Higgins. Da qui inizia la Carretera Austral. Che imbocchiamo per
arrivare a Villa O'Higgins dove dormiremo in un ostello e faremo la spesa più
importante. I prossimi sei giorni potremmo non incontrare nessun tipo di
struttura per mangiare. Probabilmente neanche per dormire. Quindi oggi ci rifocilliamo
per bene.
Fare la spesa per 6
giorni, per 4 persone che mangiano 3 volte al giorno, e che possono cucinare
con un fornelletto, in un posto in cui i supermarket non esistono e non abbiamo
moneta locale..beh davvero una situazione buffa e sorprendente.
Dato che da domani la
cosa comincia a farsi duretta, Marcello fa briefing che in parte spaventa
Franz, che un po' sbarella. Ecco la prima discussione. La cena prende una piega
un po' pesante. Ma ormai è ora di andare a letto e non si discute più.
Giorno 5
Prendiamo la Carretera
Austral verso nord. Non lo sapevo ma la Carretera e' considerata la più bella
strada sterrata al mondo. Non solo per i paesaggi che attraversa (e ne
attraversa davvero molti considerando che è lunga 1240 km e collega Villa O'Higgins
a Puerto Montt ), ma per come è stata costruita. Un complesso insieme di terra,
sassi e tronchi per far sì che vi sia un naturale sistema drenante.
In effetti stamattina
piove, ma non troviamo nemmeno una pozzanghera lungo il percorso.
Il nostro obiettivo
però è il confine con l'Argentina per cui la percorriamo solo per qualche
decina a di km e poi prendiamo per il Paso Mayer. Ci era stato detto che il
dislivello del passo era di 200 mt...quindi non ci preoccupiamo più di tanto,
nonostante le bici siano cariche di tutta la spesa appena fatta.
Questa tappa in
effetti è l'unica non nota a Marcello, anche lui non ha mai attraversato il
confine da lì, e sembra più preoccupato del percorso (non segnato, ma solo
tramandato nei racconti delle persone incontrate) dai carabinieri cileni, ai
gendarmi argentini: 6 km tra fiumi da guadare e una mitica passerella da
cercare scavalcando proprietà private e nessun vero percorso tracciato.
E quindi dopo 50 km e
1000(!!!!!!) metri di dislivello positivo su sterrato, arriviamo al confine del
Cile verso le 4 del pomeriggio, già belli soddisfatti del percorso. Ora mancano
"solo" 6 km. Marcello sa che la parte dura deve ancora arrivare, e
non si lascia andare in troppe espressioni euforiche.
Il carabiniere cileno
ci guarda ridacchiando...non sono tanti i ciclisti che transitano da queste
parti (dopo capiremo anche noi perché). Prova a darci indicazioni per
raggiungere la passerella di Ramiro: "però ricordate che è stata costruita
per il passaggio delle pecore, e' stretta e Ramiro potrebbe non essere felice
del vostro utilizzo". Marcello risponde: "grazie. Manderemo avanti le
ragazze".
L'ostilità
Cile-Argentina viene fuori anche in questa situazione. L'ufficiale cileno
afferma che il suo paese il suo dovere lo ha fatto e ha costruito la strada.
Gli argentini no. C'è però da dire che sono più i cileni che avrebbero bisogno
di agevolare i trasporti dal loro paese all'Argentina. Gli argentini si
guardano bene dal facilitare il nemico di sempre.
Ci accomodiamo
nell'ufficio del carabinero che controlla e registra i nostri passaporti.
Chiede a tutti "estado civil". Marcello dice
"casado"...Marta lo guarda un po' strano e bofonchia qualcosa. Il
carabinero non capisce. Allora Marcello si affretta a specificare: "allora
per lo stato italiano sono divorziato. Ma poi mi sono risposato in Tibet con
questa bella signora, quindi - per me - sono casado". Il carabiniere
sorride, sembra emozionarsi, e afferma: "entiendo, casado en el
corazon!!!".
Ridiamo. Ha capito più
lui in 3 minuti, di tutte le istituzioni del pianeta. Il señor e la señora si
amano. Non serve altro.
Dopo questo piccolo
scambio l'ufficiale si sente di darci molti più avvertimenti per quello che ci
aspetta...la sua faccia con chiara espressione di difficoltà, mi fa intuire che
questi 6km ce li dovremo sudare.
E infatti... 100 metri
più avanti si comincia a ballare.
Un primo guado. Non
troppo difficile. Attraversiamo subito una proprietà privata, e il tizio ci
apre il cancello sorridente. Tutto ok. Però ci informa che di lì a poco dovremo
scavalcare 3 barriere di filo spinato. E poi dovrebbe intravvedersi una sorta
di sentiero.
Ecco che inizio a
pensare che sono felice di essere lì con la migliore delle guide possibili.
E quindi il vero
percorso di oggi inizia ora. 6 km (che alla fine saranno 12 almeno sul Garmin)
in 5 ore, tra fiumi da guadare (più o meno bene, molto poco in sella per via di
profondità e corrente, ma molto più spesso con piedi a bagno e acqua oltre il
ginocchio), simil paludi fangose in cui ho rischiato di vedermi risucchiate le
scarpe nel fango (felice poi di trovare il fiume da guadare per pulirsi), greto
sassoso del fiume non ancora alla sua massima portata (non so come avremmo
fatto se ci fosse stata più acqua), micro sentieri bordati di calafate (cespugli
tipici, che danno il nome alla città più grande -El Calafate- con spine che neanche
un istrice) dove le borse si incastrano in continuazione e l'unico modo per
passare e' andare forte e spingere senza timore sui pedali, continui dislivelli
morenici di 10/15 metri di altezza con terreno del tutto instabile e con le
bici da spingere (i miei braccini hanno dato il massimo, spingevo con tutto il
corpo...dalla punta dei piedi che facevano da appiglio alle dita che non
dovevano perdere la presa...alla fine ero esausta – senza l’aiuto di Marta non
ce l’avrei fatta), la mitica passerella attraversabile solo smontando la bici e
portandola a spalla sopra le funi laterali (dopo aver già scavalcato almeno 5 o
6 barriere di filo spinato - tira su tira giù la bici, voi due ragazze andate
dall'altra parte, noi vi passiamo le bici. Pronti?? 1..2..3..hop!), le impronte
del puma sull' argine fangoso dell'ultimo guado prima del bosco..un'impronta
fresca, netta (un brividino lungo la schiena), il bosco, finalmente la traccia che
sono ormai le otto di sera passate..speriamo di imbatterci nei gendarmi, ad
ogni curva una speranza che viene immediatamente disattesa.
Ma mai una volta in
tutto questo concentrato di avventura ho pensato "cosa ci faccio
qui". Mai una volta mi sono sentita in pericolo. Io e Marta ci facevamo
forza a vicenda. Ridevamo. Marcello ci aiutava a superare i nostri limiti senza
timore. Franz sbuffava affaticato, ma non ha mollato un millimetro.
Finisce il bosco.
Niente gendarmi. Maledizione. Inizia a piovere. In lontananza un punto rosso,
sembra un tetto. Diciamo “arriviamo fino a lì e ci accampiamo”.
Ma arrivare fino a lì
vuol dire ancora 2/3 km in una steppa non facilmente pedalabile, altri 2 fili
spinati e un fiumiciattolo insidioso che continuava a riproporsi date le sue
innumerevoli anse.
Arrivare fino a lì
significava il portapacchi di Marcello rotto (e come cazzo facciamo adesso a
trasportare il suo bagaglio. Poco importa ci penseremo domani, ora dobbiamo
avanzare e lui in modo posticcio riesce ad assicurare la sacca al tubo della
bici).
Io e Marta siamo
davanti, quando si rompe il portapacchi Marcello ci urla di proseguire, lui
arriverà. Ci guardiamo, sappiamo che è meglio andare a cercare un riparo,
semmai torneremo a prenderlo. Quindi proseguiamo. Pedaliamo senza voltarci. È
12 ore che siamo in bici. Siamo stanche e infreddolite, ora che è calato il
sole, i piedi e gli abiti bagnati dai guadi sono freddi. Senza voltarci,
avanti, "Marcello ce la fa, stai serena". Il puntino rosso non è una
casa, è un cartello. Un cartello stradale! Una strada! I gendarmi. Gridiamo
"i gendarmiiiiiiiiii!!! Yeah!!! Grandiiii! Ragazzi forzaaaaaa i
gendarmiiiiiii!!!" In quel momento ci giriamo e vediamo che anche Franz e
Marcello si stanno avvicinando.
Arriviamo alla
caserma. Escono i militari (vestiti con abiti degni dei miglior film anni 70),
vorrebbero avere un atteggiamento ostile o severo.. ma in fin dei conti
sembrano più incuriositi da questi 4 pazzi..e felici di avere ospiti. Ci fanno
accampare dentro il recinto e ci fanno utilizzate il quincho! Evviva, possiamo
accendere il fuoco al coperto e mettere ad asciugare gli abiti bagnati.
Ci si divide veloce i
compiti. Io e Marta fuoco e cena. Franz e Marcello tende (sta piovendo).
Spostiamo una panca davanti al fuoco per scaldarci. Usiamo un rastrello per
appendere scarpe e calze senza che si gremino.
Mangiamo, ridiamo
della giornata felicissimi e benedetti. Sono ormai le 23 passate. Ci diamo la
buona notte. Gli occhi si chiudono immediatamente.
Giorno 6
Non ha smesso di
piovere neanche un minuto stanotte, e in tenda l'acqua si sente moltissimo.
Fortunatamente non si trattava di pioggia battente, in ogni caso sufficiente
per bagnare il lato della tenda (quello dove dormo io) e il sacco a pelo (il
mio), merda.
Quincho delle Gendarmeria El Bello/Rio Mayer |
Le tende sono
"sperimentali" anche quelle. Le hanno date a Marcello i suoi sponsor
per testarle, credo costino cifre importanti. Tutti pensiamo che siano un
figata per semplicità di montaggio e peso (davvero non te ne accorgi), ma
l'acqua ...insomma. Meglio per lo Hielo Continental Sur, dove andrà subito dopo
il nostro giro.
Inumidita e ancora
stanca dalla giornata di ieri, il risveglio è abbastanza impegnativo. Brrr,
pronti via. Accendiamo ancora il fuoco e approntiamo una bella colazione.
Abbiamo tutti fame. Con ogni probabilità ieri abbiamo consumato più di quello
che abbiamo reintegrato... quindi stamattina ognuno si prende il proprio tubo
di biscotti e lo finisce con voracità.
Metto il sacco a pelo
davanti al fuoco e lo faccio asciugare attenta a non bruciarlo.
Si cerca una soluzione
al portapacchi rotto.
Non ce ne è: dobbiamo
ridurre di una sacca. Io prendo parte del bagaglio di Marta e non riduco il
cibo (nonostante tutto quello consumato). Poi le solite attività di
preparazione pre-partenza (tra cui la fastidiosissima piegatura del mio
materassino..uff): ricomposizione delle borse, wc in natura, lavaggi a fiume,
attrezza la bici, pronti via.
Noi ragazze andiamo a
far registrare i passaporti. All'interno della caserma i gendarmi ci accolgono
sorridenti. C'è profumo di pane appena sfornato. Certo, lì non possono andare a
comprarlo. Si fanno tutto loro. Che bel calore. Che tepore. Il pane.
Incuriositi i gendarmi
(i sottoposti, non il capo di ieri) ci chiedono da dove arriviamo, dove
dobbiamo andare, accidenti in bici!
Timbri fatti. Usciamo.
I ragazzi sono pronti. Marcello chiede conferma del percorso. Ci dicono che tra
6 km troveremo un altro guado, lì il fiume è piuttosto ampio ma non
profondo (per fortuna).
Precisi, dopo 6 km
arriviamo al fiume. Nessuno ha voglia di bagnarsi i piedi di prima mattina. Ok
togliamoci le scarpe. Marcello va per primo, come sempre, per saggiare in
effetti profondità e corrente. Tutto ok nessun problema. Va Marta, la seguo.
Però noi ci mettiamo le crocs..Hihi.. i sassi fanno pur male e l'acqua è
fredda. Così passiamo agevolmente. Quasi divertite, come essere al mare in
vacanza. Tanto divertite che torniamo indietro ad aiutare Franz (che non
abbiamo ancora capito cosa avesse di tanto voluminoso e pesante nel
bagaglio..ahaha).
Ora cominciamo a
vedere che il paesaggio cambia. Dalla montagna ci dirigiamo verso la
"estepa"...forse quel tipo di Patagonia che fa più parte del mio
immaginario.
Comunque se becco
quello che mi ha detto la Patagonia è tutta piatta, gli faccio... già che gli
faccio??? Non so, gli faccio punto.
Il cielo si apre, fa
caldo. Togliamo le maglie, si sta bene in maglietta. Il sole è forte da subito.
Serve la protezione (50), anche se poi mani e naso li scotterò comunque. Le
gambe sono davvero inguardabili. Il segno del calzino sotto, del pantalone al
ginocchio e poi le ferite per salvarmi dal puma (notoriamente il padellone, la
corona più grande del cambio... che mi sono infilzata in un polpaccio durante
un guado non eseguito alla perfezione! Oltre ai pedali che ho sbattuto a
piacere contro stinco e/o polpacci), davvero sexy e femminile. Uff.
Questo nuovo paesaggio
e il sole fanno euforia. Urliamo qualche frase scema! Pensiamo ai tristoni che
non lo farebbero mai! Pensiamo a chi vorremmo avere con noi per condividere
tanta bellezza e tanta libertà. E così maciniamo km...però il vento a favore
che avremmo dovuto incontrare una volta ruotato il senso di marcia non lo incontriamo..e
francamente non lo incontreremo mai davvero.
Dopo 3 ore scarse
(forse era appena passato mezzogiorno) Marcello dice: fermiamoci qua. So che è
presto ma dobbiamo fare asciugare le tende e ora c'è un bel sole,
mangiamo.
Solita divisione dei
compiti. I ragazzi (o forse solo Marcello dovrei dire stavolta) montano le tende,
mente io e Marta cerchiamo i viveri tra le varie sacche. Stavolta tonno e ceci
(o fagioli per chi preferisce), con cracker. Ahah che delizia! Quasi quasi ci
sta anche un pezzo di cioccolata e un bel caffè!
Vediamo dei condor
giganti volare poco lontano. Comincia a sentirsi odore di steppa. Sono
elettrizzata. Controlliamo la mappa e anche l'applicazione (maps.me)
che mi ha consigliato Andrew. Marcello, per quanto sia più per i metodi
classici, intuisce che so leggere bene le piantine (luoghi, proporzioni, km,
localizzazione) quindi divento un piccolo navigatore vivente (felicissima di
diventarlo) e decidiamo di darci un obiettivo per la giornata: estancia El
Capitàn. Secondo i miei calcoli sono almeno 50 km.
Rimettiamo tutto a
posto, le tende si sono asciugate e siamo pronti a riprendere la strada. Le
salite non sono ancora finite, non abbiamo ancora del tutto lasciato la
cordigliera e quindi nel seguire il percorso del fiume (nostra fonte di acqua
per qualsiasi cosa) dobbiamo affrontare ancora un bel po' di dislivello. E ti
accorgi ancora una volta che ciò che è scritto e sembra facile su una mappa,
non sempre corrisponde al facile nella realtà. Le borse e il cibo sono pesanti.
Il sole scalda, oggi si suda parecchio. Poi dopo aver salito una delle ultime
alture ci si presenta di fronte la steppa. Un luogo di nulla. Da oggi ci si
abitua al nulla.
Alle spalle le
montagne innevate. Di fronte il nulla. Di fronte un vento forte e una strada
che sembra non finire mai. Ecco il biglietto da visita della steppa. Sento
ancora ogni rumore, diversi da quelli sovrapposti della città. La luce cambia.
In fondo nubi scure rendono il paesaggio ancora più suggestivo.
Si alternano dolci
salite a dolci discese, una sorta di montagna russa che esalta in discesa e non
affatica troppo in salita. Però il vento invece di scemare aumenta. Cominciamo
a dubitare di riuscire a raggiungere El Capitàn.
Poi per la prima volta
un guanaco (che io per tutto il viaggio chiamerò "animale
patagonico"), grido "ciaoooo animale patagonico!!! Woooooh
ooooh!!!". Poi tutto il branco dietro di lui. Sono tanti, agili, veloci.
Che bellezza.
Estancia Rio Capitàn |
Non riusciamo ad
andare più di 8 km/h. Ogni 40 minuti circa ci fermiamo. Pipì, bere, qualcosa da
sgranocchiare, si controlla la mappa. Uff, siamo avanzati proprio poco. Ok ci
si rimette in marcia.
Incrociamo una
"camioneta", chiediamo indicazioni sui km. Forse ne mancano ancora
una decina, si sì l'estancia dovrebbe essere aperta ci dicono.
Siamo stanchi ma non è
proprio il momento di fermarsi. Troppo vento e troppi pochi ripari, non
possiamo accamparci nella steppa. Dobbiamo arrivare. Mi metto in modalità
"voglio arrivare prima possibile" e sono in testa al gruppo. Crapino
basso, cerco in qualche modo di contrastare il vento anche se non è
possibile..ma vado, pedalo, pedalo, giù via andiamo, "chi si ferma è
perduto, indietro non si torna" continuiamo a ripetere.
Finalmente l'incrocio
per l'estancia: per raggiungerla ancora 4 km. Dai che è fatta. Stasera si
mangia e si dorme!! Entusiasmo un po' generalizzato. Avendo invertito la rotta
di 90 gradi grazie alla deviazione questi ultimi 4 km sono meno difficili, il
vento laterale a volte sembra darci un piccolo aiuto. Arriviamo, non c'è
nessuno. Ci accolgono due cagnoni carini e coccolosi. Ci sono un sacco di
pecore ed agnellini (qui e' primavera inoltrata, ogni animale ha fatto i
piccoli. Cavalli, pecore, caprette, mucche, anche l'animale patagonico. Forse
anche il puma di ieri).
Finalmente arriva un
signore con gli occhi azzurri. Ci dice che da 5 anni non sono più estancia
turistica (più o meno il corrispettivo di un agriturismo da noi). Hanno venduto
a un inglese che organizza pesca alla mosca sul rio. Le cabanas sono per chi
prenota la pesca. Non possono accogliere altri (che figura farebbe con i
clienti granosi che fanno pescano con sta cazzo di mosca). Se vogliamo però c'è
il "galpon": il capanno dove tosa le pecore e conserva per la frollatura
i pezzi di bestia. Fuori sta per piovere. Il galpon è al coperto. Puzza
orribilmente, ma va benissimo.
Sogno di gloria e
comodità infranto in 5 minuti. Ma la pioggia ci fa immediatamente sentire super
fortunati!
Io sfacciatissima
chiedo se posso andare a sciacquarmi in bagno. Marcello forse non approva, ma
poi forse anche loro lo avrebbero voluto fare. In casa sembra esserci Wi-Fi. Chissà
come è andato il referendum. Non riesco a prender la linea. Nulla.
Chiediamo se hanno
qualcosa da mangiare. Ci danno una dozzina di uova. Non ci fanno neanche usare
la cucina. Erano stati più ospitali i gendarmi - penso - ma tant'è!
Con la mia gavetta
(che è ancora di quelle vecchie di metallo e non di plastica moderne) riusciamo
a fare le uova strapazzate sul fornelletto. "Que bien!!" dico
gustando le uova. Le tende sono montate nel galpon. Fuori l'acqua batte forte
contro il tetto di lamiera, che in quanto a rumore della pioggia sembra una
tenda gigante ed amplificatrice.
Anche oggi ci è andata
di lusso, vero? Ridiamo. Franz ogni volta che si alza sbatte contro la coscia
di mucca appesa. Che schifo! Che ridere!
Chiacchieriamo ancora
un po'. Rivediamo le foto. Controlliamo "mapita" e proviamo a pensare
quanta strada fare domani. Mañana, ora notte notte a tutti. La giornata è stata
impegnativa. E mentre riordino i pensieri sprofondo nel sonno. Felice.
Girono 7
La mattina l'odore
forte de galpon forse un po' disturba la colazione. Penetra subito nelle nari,
pungente.
Si fa un po' a turno
per andare in bagno e darsi una sciacquata al ruscello. Quando esco mi dirigo
piano verso le pecore che sono ora tutte impaurite contro lo steccato, nel
punto più lontano del recinto rispetto a noi. Sono buffe, penso.
Scavalco e faccio
quello che devo fare, ancora infreddolita e nel pieno dei sogni. Mi guardo in
giro a controllare che non ci siano cani selvatici nei dintorni.
Poi rientro. Ormai ho
preso un buon ritmo per risistemare il bagaglio, e in poco siamo tutti
pronti.
I 4 km che ci separano
dalla strada principale mi sembrano più brevi stamane.
Una volta arrivati al
bivio, la sorpresa più gradita: un vento robusto a nostro favore. Finalmente
dopo tutti quei giorni di spinta, un po' di aiuto da dietro! Meraviglia.
Ma la meraviglia vera
quel giorno e' stata la steppa che mi è sembrato si presentasse nella sua veste
migliore. Animali patagonici, struzzi, cavalli, (cavallette), fiumi, montagne
in lontananza con colori indicibili a metà tra la tempesta e il bello che
torna...delle luci incredibili.
Il vento ci consente
di percorrere con una certa facilità 50km, fino a che non arriviamo al bivio
con la ruta 40. Un po' ingenui pensiamo a quanto sarà facile e veloce
sfrecciare sull'asfalto con il vento a favore...ecco appunto, ingenui.
Non appena imbocchiamo
la 40 il vento comincia a spirare nella direzione opposta. Fatichiamo ancora
per una decina di km poi facciamo sosta las Horquetas. Milanesa e papas
fritas...una fame importante va saziata. E una bella birra, por favor! Mangiamo
senza quasi parlarci. Poi arriva il momento di mapita. La ragazza, molto
disinteressata, che sta dietro il banco, ci dice di proseguire verso l'estancia
"la Silvina"...a soli 30 (!!!!) km.
Mi chiedo se quella
cicciona abbia mai pedalato per più di 100 metri, maledetta lei. 30 km a
9/10 vuol dire più di 3 ore!
Con testa bassa, come
se fosse l'unica cosa importante da raggiungere al mondo, andiamo avanti
fino a la Silvina. Arriviamo e scopriamo che è tutto chiuso (..."se in
Patagonia ti aspetti che succeda qualcosa, di sicuro accadrà esattamente
il contrario"). Cancello chiuso da un gran catenaccio. Un vitello per
qualche strano motivo e' rimasto fuori (meglio, penso io, qualcuno rientrerà
presto). Ma la povera bestia incontra solamente il recinto troppo alto per le
sue energie e si agita con scarso risultato. Sembra quasi andare verso
l'asfalto, a tutta velocità verso le auto e le camionetas. Parte un grido. Il
vitello si ferma. Torna indietro.
Marcello prova a
scavalcare nella speranza che vi sia qualcuno. Fa passare anche la bici quindi
copre con velocità la distanza che ci separa dall’ estancia. Ma non appena
raggiunge la cima dello sterrato lo vedo sfrecciare a tutta velocità indietro verso
di noi. Arriva. Bianco come un cencio. Si è appena visto due dogo argentini
venirgli contro. Abbiamo seriamente rischiato di perdere la guida. Ergo, il
pericolo dei pericoli in Patagonia è l'uomo che vi abita.
Insomma gli 80 km di
oggi non bastano, dobbiamo perseguire almeno di altri 20, finché non
incontriamo il rio Chico. Non siamo neanche del tutto sicuri di non prendere un
bell'acquazzone in quanto ovunque intorno a noi si stagliano nubi pesanti
d'acqua.
Sono ormai le 8
passate quando raggiungiamo il bivio, ora davvero distrutti. 100 km. Anche
più.
Mai percorso una
simile distanza in bici. Mai con la fame che avevamo noi.
Un arcobaleno ci vuole
premiare, e lo vediamo formarsi prorompente davanti a noi!
Siamo al bivio, ancora
un ultimo sforzo e dovremmo raggiungere la fattoria La Verde. In lontananza già
la vediamo, ma la bruciatura della sera prima fa sì che nessuno si faccia
illusioni.
Pedaliamo ancora. Io
mi sento ad un tratto incommensurabilmente affaticata. Mi gira la testa, ho
come la sensazione di perdere l'equilibrio e per non cadere sono costretta a
percorrere l'ultimo km a piedi.
Raggiungo gli altri
che sono arrivati prima di me e li vedo aggirarsi - persi - per la fattoria.
Ancora una volta nessuno. Ma non può essere, animali e stalle sembrano essere
abitati.
Finalmente scoviamo
due braccianti che ci informano che il fattore non c'è . Non possono quindi
darci ospitalità all'interno della struttura. Non possono darci in usufrutto il
fuoco o la cucina. Ci possiamo accampare sotto gli alberi. Le galline
spaventate volano sugli alberi proprio al di sopra delle nostre teste. Ci sono
pavoni, maiali, cani e gatti che sbucano da ogni dove. Cavalli, carcasse di
cavallo qua e là. Ma dopo più di 100 km tutto appare meraviglioso. Decidiamo di
cucinare la polenta. Io capisco il perché di così tanta stanchezza da parte
mia: il ciclo. Non ho quasi fame, nonostante i giramenti di testa. Assaggio
qualcosa e vado subito a nanna distrutta. Non credo neppure di sentire le
lamentele di Franz nei confronti di un cucciolotto di razza mista che continua
a rubare le ciabatte di chicchessia. Un batuffolo simpaticissimo che con ogni
probabilità viene trascurato più per esigenze pratiche che non per reale
mancanza di sensibilità. Il lavoro nella estancia sembra davvero immenso, come
i suoi spazi.
Ma io di spazi mentali
oggi non ne ho più. Il mio corpo mi ha rubato tutte le energie. Mi addormento
prima della fine della cena.
Giorno 8
La mattina, dopo tutti
i km del giorno prima e la cena praticamente non fatta, mi sveglio per la fame.
Accidenti è davvero troppo presto, non posso rompere a Marta e Marcello. Così
mi metto ad ascoltare i rumori della fattoria. I pavoni sono i veri rompicoglioni,
insieme alle galline. Alla fine chi ci tirerà giù dal sacco a pelo sarà Franz
che ha mandato qualche benedizione al cucciolotto che gli ha rubato le ciabatte
e il piatto che aveva lasciato fuori dalla tenda, una scena memorabile. Quasi
da lacrime. Più Franz si agita ed inveisce, più il cagnolino lo prende per il
culo. In ogni caso ciò che conta è che ora si mangiaaaaa!
La colazione è a metà
tra vorace e non sufficientemente abbondante. Diamo fondo davvero praticamente
a tutto prima di rimetterci in sella. Oggi abbiamo deciso che ci concederemo un
pranzo a l'Angostura, una estancia bellissima dove - a inizio viaggio, prima
della barca non arrivata e del vento contro - pensavamo di poter pernottare.
Per raggiungerla i soliti 40 e passa km di sterrato in un panorama davvero
lunare. Tutto intorno solo "estepa", il solco del rio Chico. L'occhio
non trova ostacoli per infiniti km. Il senso del niente forse comincio a
capirlo e a parlarci. Quasi mi conforta invece di spaventarmi o impressionarmi.
È uno stato fisico e mentale che può destare angoscia. A me sembra giusto
esserci in mezzo in quel momento. Ancor più giusto esserci con le mie gambe,
con la spinta dei muscoli affaticati da lunghe giornate di sforzo. A volte non
me ne accorgo neanche, ma allungo e mi allontano in silenzio. Poi mi giro e
vedo i miei compagni di viaggio indietro. Quindi mi fermo e li aspetto. Più o
meno in quei momenti scatto una o due foto.
Finalmente sento di
aver confidenza con la bicicletta e vado veloce (per me), anche in discesa
sullo sterrato! Grido...WOOOOOOW!!!! E rido. Il cartello per l'angostura. Mi
fermo. Aspetto. Lì ci dobbiamo arrivare insieme.
Il posto è davvero
carino. Molto curato, piante, animali, dettagli dell'arredo così di gusto.
Siamo gli unici in visita. Domani arriverà un altro gruppo di ciclisti, ma oggi
tutta l'attenzione è per noi. Credo sia arrivato il momento di aprire una bella
bottiglia insieme e usare i famosi 200 bigliettoni trovati in aeroporto.
"Ci meritiamo un buon vino! Offre il culo..ops la fortuna" dico. Nel
guardare le espressioni dei miei compagni di viaggio vedo che nessuno è in
disaccordo.
Mangiamo come fosse la
vigilia. Insalata, empanadas di carne e di verdure, zuppa, carne. Tutto
sparisce immediatamente nelle fibre che hanno bisogno di ricostruirsi.
È piacevole anche
scambiare due chiacchiere con i padroni di casa. Ci raccontano come hanno
cominciato, come è cambiato il lavoro negli ultimi anni..dovranno arrendersi ad
internet dicono...ma forse no. Non ancora.
Guardiamo con loro la
mappa e chiediamo se ci convenga passare da una parte o dall'altra. Scopriamo
che l'ostello dove pensavamo di andare per la notte e' chiuso da un paio d'anni
e che un lungo tratto della ruta 40 e' in rifacimento per cui più di 100 km di
sterrato e nessun rifugio.
Provvidenziale
arrivare fino a lì. Ancor di più parlare con loro. Lì ti accorgi che forse il
destino non esiste. Ma ci sono coincidenze che accadono nella vita..e che
devono accadere perché sia davvero un dono di meraviglia. Ogni giorno.
Facciamo velocemente
due calcoli e più di 250 km in due giorni in condizioni incerte, con nulli o
quasi nulli centri abitati mettono un po' a rischio il rientro per tempo a Calafate.
A malincuore ma
carichiamo le bici sulla "camioneta" e ci facciano portare "fino
a dove ricomincia l'asfalto". Sarà stato per il pranzo caldo e abbondante
o per il dondolio della camioneta..ma ci addormentiamo un po' tutti...questo
non impedisce però che si venga scaricati bellamente al primo metro di asfalto.
Paghiamo il passaggio. Rimontiamo le bici. Ci attendono ancora una quarantina
di km per raggiungere Tres Lagos. E il vento non sembra promettere davvero
nulla di buono.
Sconfortante; è
l'unica parola che mi viene in mente quando dopo un'ora di cammino abbiamo
percorso solo 4 km. Forse anche cazzo è una parola che viene facilmente in
testa. Nessuno guarda avanti. Tutti concentrati sulle pedalate, alla ricerca di
qualcosa di ipnotico che non faccia pensare troppo alla fatica ed al ridicolo
avanzamento.
Verifico
"mapita" e vedo che in un paio di km la strada dovrebbe curvare un
po', e portarci se non a favore di vento, almeno non così tanto contro.
Ma non dico nulla. Si sa mai la sfiga.
Ed in effetti dopo un
curvone in salita (i muscoli bruciavano come non mai) cambiamo direzione.
Ora pedaliamo in
obliquo. Altrettanta fatica per rimanere in equilibrio, ma un po' come in barca
a vela si cerca di sfruttare qualsiasi corrente per avanzare con maggiore
facilità.
Di tanto in tanto le
raffiche ci sbattono in mezzo alla strada, per fortuna non trafficata.
Il tempo cambia. Prima
pioggia e grigio, ora un cielo immenso luminoso e brillantissimo.
Conforto.
Incoraggiamento. Dai!! 10 km sono andati, ce ne mancano solo 30. Dai dai!!
E la strada curva
ancora verso sud. Ora il vento è alle spalle e per qualche grazia anche meno
potente. Quindi ci spinge ma non ci atterra. Prendiamo velocità, sento le ruote
scolpite fare un rumore da formula uno sull'asfalto! Supero i 50 km all'ora! Il
mio record! Ecco che parte immediata la gara tra di noi! Urliamo di gioia!
Un'euforia infantile bellissima e galvanizzante. 20km bruciati in
pochissimo!
Poi di nuovo la strada
che gira, il vento che torna a soffiare contro di noi. Però ormai vediamo la
cittadina davanti a noi. Mapita segna una deviazione che non incontriamo mai e
quindi ci costringe ad allungare, o meglio ci avrebbe costretto ad allungare,
ma Marcello vede sotto la scarpata della strada uno sterrato che taglia e porta
direttamente in paese. Fermi! Passiamo di qua! Mancava in effetti l'avventura
quotidiana! Dobbiamo scendere una sassaiola di una ventina di metri e passare
il solito filo spianato. Ma che vuoi che sia mai per il gruppo vacanze
Patagonia! Vai che si va!
Franz ci regala un
momento di grande ilarità quando rotolandosi sotto il filo spinato - dove poi
avremmo passato le bici da sopra - nella polvere grida "grazie Marcello
che mi fai rotolare nella polvere sotto il filo spinato! Era quello che volevo
uuuuh si se lo volevo! Grazie Marcello!" Ridiamo come i pazzi. Veloci
verso Tres Lagos alla ricerca di un posto dove dormire e di una super
bistecca!!
Sporchi e stanchi
(sono ormai quasi le 9 di sera) prima si mangia poi si disfano i bagagli e ci
si lava.
Una delle bistecche
più grandi mai mangiate. Tutto tutto nel pancino. Il grassino, le patate
fritte, gli avanzi di grassino di Marta. Tutto nel pancino.
C'è connessione. Marta
non riesce a connettersi, quindi io divento la depositaria di una assurda
conversazione a 5 tra noi e Baricco, disperso in Perù, che aspetta il suo pollo
arrosto.
Ma quando arrivano le
papas fritas tagliamo corto: papas fritas arrivate! Ciao! Fine della
conversazione.
Sappiamo che domani
sarà l'ultimo giorno. Euforia mista a tristezza.
Ma non ci vogliamo
pensare oggi.
Oggi siano qui. Siamo
insieme. Ed è bello.
Andiamo all'ostello.
Doccia dopo 4 o 5 giorni, non ricordo.
Un letto. Chiudo gli
occhi e mi scende una lacrima. Deve essere gioia.
Giorno 9
Stamattina affrontiamo
la nostra ultima tappa. Il cielo è terso, infinito. Brilla come se lo avessero
appena pulito. Come se avessero passato il lucido! Qui la foschia da
inquinamento davvero non esiste.
Impacchettiamo tutto
per l'ultima volta. Sono avanzati pochi viveri. Giusto quel che serve per il
pranzo di oggi. Un'ultima foto a noi tre (Franz, Marta ed io) e si parte.
Il vento sappiamo già
che non sarà esattamente dei nostri, ma i primi km ci accompagna dolcemente.
Poi quando abbandoniamo la conca di Tres Lagos e ci si apre l'infinito verso le
Ande, ecco che comincia a diventare un po' più insidioso. Ma mai impossibile. Non
oggi. Oggi è il giorno dell'euforia. Anche il vento lo sa.
Marcello pedala dietro
di me, chiacchieriamo. Gli chiedo se secondo lui riuscirò a vedere il Fitz Roy
e il Cerro Torre. Ride e mi dice " Giornate così limpide con le Ande di
sfondo se ne vedono poche. Pedala ancora un po' e poi mi dirai".
Ecco un altro regalo:
una curva, una discesa ed ecco che si cominciano ad intravvedere le punte.
Viene voglia di pedalare più forte, di vedere tutto subito. Ma il vento ci
ricorda che la bellezza si guadagna poco per volta, che c'è anche se a noi
sembra di non vederla. Bisogna solo avere pazienza e occhi pronti per saperla
apprezzare.
E così questo
spettacolo meraviglioso si svela piano piano alla nostra destra. Ogni metro in
più, un pezzo in più di emozione che ci accompagnerà fino all'ultimo km.
Ci fermiamo a mangiare
lungo la strada. Le poche macchine che passano ci salutano tutte. Nessun
ciclista, neanche oggi. In effetti da quando abbiamo abbandonato la Carretera Austral...zero,
nada, niecht, no one. Solo noi e i nostri polpacci.
Non ricordo come, ma
seduti su 4 sassi recuperati a ciglio strada Franz ci racconta di come ha
incontrato la "sua Gi" (che si chiama Loredana, ma capite bene che è
troppo lungo). E si fa immediatamente studente matricola all'università di Teramo
che, passeggiando lungo il corso con un compagno, incontra sempre questa
ragazza. È così bella. Ma è giovane, è all'ultimo anno di liceo. Non sa come
fare a conoscerla. Finché un giorno Loredana passeggia con una sua amica che
invece è in corso all'università con il suo di amico.
Franz si presenta e
pensa "bene ora che la conosco, la potrò salutare e magari passeggeremo
insieme".
E quell'opportunità
non se la fa certo scappare già il giorno dopo. "Io vivevo - dice - per il
passeggio delle 5, sperando di incontrarla e di poter stare un po' con
lei".
Il ricordo avrà
romanzato con molta probabilità la situazione. Ma la sua voce e il suo sguardo
credo siano gli stessi di allora. Il suo sentimento genuino.
Divisione della
spazzatura e si torna in sella. Tra poco arriviamo al lago Viedma e se sarò
capace di sopravvivere a tanta bellezza, potrò vedere le montagne nel loro
splendore.
E in effetti il
panorama che si propone di fronte ai nostri occhi e' meraviglioso. Solo le
Dolomiti mi hanno dato un pugno tanto forte nello stomaco. Non penso nulla. Mi
fermo e ammiro. Non parlo. Nessuno parla.
Sembra il coronamento
perfetto di questo viaggio di emozioni e di uomini.
Ce lo godiamo.
Quasi a malincuore si
ricomincia a pedalare. Una quindicina di km ci separa da l'estancia La Leona.
Mitica. Crocevia di viaggiatori e alpinisti, sulla strada per Chaltén.
Un posto a metà tra il
ricordo e la modernità. Prima del curvone ultimo grido: "il mio ultimo km
patagonico!!! Ce l'abbiamo fattaaaaaaa!!! Bellissimooooo! Grazie ragazziiiii!!
Woooooh ohhhh!"
Arriviamo, posiamo le
bici alla staccionata e ci abbracciamo tutti.
Io mi commuovo. Sento
che quello che è finito è solo il giro in bici. Non il viaggio. Non queste
persone.
"Birra?"