Leggenda e realtà nei mari patagonici
Molti anni dopo, in una locanda malfamata
di Puerto Montt dove Antiguo Vidal si
trovava per sbrigare i suoi traffici, ascoltò quasi per caso- ma esiste poi il
caso? o è piuttosto la somma di avvenimenti ineluttabili che ci conducono a
sbattere contro il nostro destino? - dalla
voce di un marinaio accasciato lungo il bancone del bar, la storia che di lì a
poco gli avrebbe svelato la verità sulla scomparsa di suo nonno avvenuta da
quelle parti almeno un secolo prima. L’isola alla foce del Rio Baker, diceva il
marinaio con la voce roca impastata dal rum e dal fumo, che sulle carte risultava senza nome, in
verità un nome ce l’aveva, un nome che evocava una vicenda avvolta in un
intrico di piante e di oblìo e testimoniata da cumuli di ossa e teschi cui nessuno
mai aveva dato sepoltura. Poi, come per scacciare orribili pensieri,
trangugiava il fondo del suo bicchiere prima di sbatterlo con un colpo secco
sul banco.
Antonio Pirincho Vidal e Florentina Bahamondes |
Proprietari di estensioni immense, i coloni dettavano
le regole, forti del fatto di trovarsi lontano dal potere centrale assestato
nelle capitali di Santiago e Buenos Aires dove le notizie di ciò che accadeva
alla fine del mondo giungevano frammentarie e accomodate in modo favorevole rispetto a chi le inviava.
Contando sull’impunità, le ricche
Società che facevano perlopiù capo alle famiglie Menendez-Bethy, Bridges, Nogueira
e Braun si macchiarono di crimini
orrendi a cominciare dalla sterminio sistematico delle popolazioni indigene per
continuare con quelle dei “peones” che si ribellavano all’eccessivo
sfruttamento nel loro duro lavoro. I
tentativi di sciopero furono via via soffocati e la repressione culminò con le
stragi del 1923, quando l’esercito argentino intervenne per schiacciare l’
irredentismo capitanato dall’ anarchico Antonio Soto e dal suo braccio destro
El Toscano.
Tra
tutti gli episodi tragici di quell’epoca quello cui faceva cenno il vecchio
marinaio a Puerto Montt è davvero poco noto, ma a Caleta Tortel, villaggio
cileno alla foce del Rio Baker solo da pochi anni raggiunto dalla Carretera
Austral voluta dal dittatore Pinochet, Antiguo Vidal trovò non poche persone
capaci di raccontare la storia che avvenne sull’isola, i cui particolari
macabri variavano in funzione della quantità di Pisco bevuta nell’occasione.
Croci sull'Isla de los muertos |
Durante la più grande campagna di taglio di
alberi che si ricordi nella zona, erano stati contrattati dalla Società che
esercitava la sovranità terriera sull’ area, un grande numero di operai che
erano accorsi in massa dall’ isola di Chiloè e da molte altre parti della
Patagonia. Avventurieri e fuggiaschi vari trovavano in questi lavori a tempo
determinato la loro fonte di sostentamento e quando la campagna ebbe termine si
ritrovarono tutti concentrati nei baraccamenti costruiti sull’ isola più
grande, allora senza nome, alla foce del Baker.
Carretera Austral |
Restavano solo da pagare quelle centinaia di braccia che avevano appena finito
le loro fatiche e poi la maggior parte di loro poteva fare ritorno alle loro
case e famiglie, se mai ce le avevano. I più in verità - gauchos e baqueanos,
vagabondi senza fissa dimora - sarebbero stati pronti a partire verso nuove
avventure.
A quel punto ai torvi amministratori della Società balenò un’idea tanto geniale
quanto perversa. Se non avessero pagato i salari di tutti quegli operai i
guadagni che avrebbero tratto dalla vendita del legname sarebbero stati netti.
Ma come fare? Presto detto e fatto. L’ultimo rancio destinato a quei poveri
diavoli che aspettavano di essere traghettati sulla terraferma dalle imbarcazioni
della stessa Società, venne mescolato al veleno e fu a tutti fatale.
L’
isola alla foce del Baker venne così abbandonata al suo carico di morte e all’oblìo.
Dopo un breve soggiorno a Caleta Tortel e
tante bevute al Rey de los Cipreses, Antiguo Vidal decise di andare a
verificare di persona le storie che aveva qua e là raccolto e che messe insieme
potevano svelare il mistero intorno alla scomparsa di suo nonno. E fu lui a
trovare mucchi di ossa disseminati lungo la spiaggia e impigliati
tra le fronde della foresta pluviale cresciuta rigogliosa a prova del fatto che
la vita è sempre più forte della morte.
Successivamente
una congregazione religiosa guidata da un prete italiano si prese cura di
costruire sull’ isola un cimitero per dare degna sepoltura a quei poveri
disgraziati che oggi solo il nome dell’ isola ricorda. Si chiama infatti
semplicemente Isla de los Muertos, l’ Isola dei Morti.
Il
tempo trasformò la storia in diverse leggende ricche di ulteriore orrore
attorno all’ Isla de los Muertos di cui venni in parte a conoscenza in maniera
decisamente fortuita – o forse no - mentre facevo un giro in bicicletta da
quelle parti.
Quando partii insieme a mia moglie per quel viaggio non lo sapevamo ma nel
novembre del 2003 veniva inaugurato il tratto di strada che collegava via terra
Caleta Tortel al resto del mondo. Prima di allora il villaggio di boscaioli
poco distante dalla foce del Rio Baker, era raggiungibile solo per via fluviale
o marittima e ora quei 25 km
di strada sterrata che perforavano letteralmente la foresta venivano inaugurati
proprio mentre noi passavamo da quelle parti.
La
digressione a Tortel fu di quelle epiche, perché ci trovammo coinvolti nella
cerimonia inaugurale dell’ avvenimento, come i primi ciclisti a percorrere quel
tratto di strada, assieme alle autorità del posto, tra le quali figurava
perfino il Presidente della Repubblica Lagos. Questi aveva lo stesso cognome di
mia moglie (e a questo punto mi viene da dire che non poteva essere un caso) e
ci volle sul palco delle autorità mentre la banda intonava l’ inno nazionale e
tutti gli abitanti, sì e no un centinaio di persone, stavano seri con il petto gonfio e lo sguardo
inebetito.
Pioveva
forte e i festeggiamenti furono trasferiti sotto un gran tendone dove vino rosso e Pisco, un distillato simile alla
grappa, scorrevano a fiumi. Fu lì che conobbi Paulo, intraprendente e
giovanissimo impresario del luogo, dedito a ogni tipo di attività: dall’allevamento
alla pesca, dal taglio degli alberi alla costruzione di barche fino al turismo.
La sua famiglia possedeva un “campo” attaccato al ghiacciaio Jorge Montt, lembo
settentrionale dello Hielo Continental Sur, che si raggiungeva in 5 ore di
navigazione dal villaggio e dove vivevano i suoi vecchi genitori, qualche suo
fratello e poche vacche temprate dal duro clima del luogo dove Paulo portava
circa 10 turisti l’ anno, tra i quali anche noi.
Dopo
qualche bicchiere, Paulo si fece serio e ci raccontò dell’ Isla de los Muertos con aria tutt’ altro che leggera,
tanto da farmi venire davvero i brividi e pure dei dubbi sulla veridicità di
una storia tanto terribile.
Così il giorno dopo salpammo in un’alba veramente da morti con la sua scricchiolante
“chalupa” in profumato legno di Cipres de las Guaitecas alla volta dell’Isola.
Villa O'Higgins fine della Carretera Austral |
L’ estuario del Rio Baker era enorme, l’ acqua già da qualche miglio era
diventata marrone e il motore faceva una gran fatica a risalire la corrente costellata di resti di tronchi galleggianti
che sembravano scheletri. Pioveva, come da copione, il cielo era nero e grosse
nuvole stazionavano a pochi metri dal suolo. Era l’atmosfera adatta per quel
viaggio, pensavo, mentre le montagne
apparivano e scomparivano tra le nubi mostrando i loro ghiacciai pensili come
in una sinistra favola gotica.
In canoa nei fiordi del Pacifico (ph.L.Nadali) |
La
leggenda era dunque una storia vera.