sabato 27 gennaio 2018

Namasté Miss Hawley

Se ne è andata all'età di 95 anni colei che tutti avevano soprannominato Miss Himalaya: il data base dell'alpinismo sugli 8000, e non solo. Elizabeth Hawley, classe 1923.
Ero stato in casa sua a Kathmandu nel 2008 in compagnia di mia moglie (Marta Trucco, giornalista), mio figlio maggiore Tommaso e una nostra amica nepalese: Beni Hoyu.
In verità l'avevo conosciuta anni prima quando era piombata nel mio albergo nella capitale nepalese, a pochi minuti dal mio arrivo con ancora lo sconvolgimento nelle ossa del viaggio aereo. Per me i viaggi aerei sono sempre tutti troppo lunghi e faticosi. Non ricordo neppure più a che cima fossi diretto ma lei lo sapeva benissimo.
Mia moglie l'aveva poi intervistata appunto per il settimanale D di Repubblica e l'intervista potete leggerla qui sul blog di Alessandro Gogna o nella colonna di destra di questo stesso web. Lì potrete sapere molto su di lei. E' inutile che io lo ripeta qui.
Miss Elizabeth ci accolse con inaspettata cordialità e ci rapì i sentimenti portandoci nel suo mondo immediatamente, raccontandoci con ironia la sua vita.
Il suo vecchio e rombante maggiolino Volkswagen era davvero parcheggiato nel parco di casa sua, una villa in stile liberty contaminato dalle discutibili geometrie moderne del paese di Tengsing, con alti alberi su cui volteggiavano minacciose grosse scimmie.
Il suo spirito tipicamente britannico tradiva fin troppo chiaramente un'origine d'oltremanica a dispetto della sua terra di nascita: Chicago negli USA.
E.Hawley, B.Hoyu, T.Cominetti e M.Trucco a Kathmandu
La studio di Elizabeth Hawley sembrava un luogo psichedelico, addobbato dagli oggetti più disparati: pupazzi di peluche, stufette a gas e elettriche d'ogni foggia, diplomi e riconoscimenti, fotografie con dediche illustri e libri. Tantissimi libri.
Il ricordo di quella mattinata nella sede dell'Himalayan Trust è indissolubilmente legato alla simpatia di questa donna d'altri tempi dall'umorismo tagliente tipico di un'intelligenza e una sensibilità superiori alla media.
A dispetto di tutti i suoi aggeggi domestici di riscaldamento se l'è portata via una polmonite, che purtroppo alla sua età è come trovarsi nel pieno delle forze sotto la caduta di un seracco!
La sua vita, davvero unica e interessante, è raccontata da Bernadette McDonald nel libro "Ti telefono da Kathmandu" con prefazione nientemeno che di Sir Hedmund Hillary.
 verso la scuola di Pangboche una delle prime costruite da Hillary
Miss Hawley però non era solo l'investigatrice alpinistica che tutti conoscevano, perché era una giornalista pura animata da grande spirito di avventura e grande curiosità, pur non avendo mai avuto interesse a salire una cima per suo conto.
Mi ricordava un po' quel personaggio (reale) ritratto a Napoli da Edoardo De Crescenzo nel suo Così parlò Bellavista, interpretato da un sarto che aveva nel suo atelier esclusivamente foto di montagne celebri. L'intervistatore gli chiese se era appassionato di montagna e il sarto rispose che era la sua più grande passione. Quindi lei avrà salito chissà quante cime, fu la domanda seguente. La risposta del sarto fu: mica sono scimunito, ho detto che ne sono appassionato ma io sulle montagne non ci vado perché è pericoloso e si fa fatica.
NAMASTE' Miss HAWLEY


venerdì 26 gennaio 2018

9 Marzo serata a PONTEDECIMO (GE) : "LIVE SIMPLY"

Invitato da un vecchio amico (Carlo Ferrari) prenderò parte alla rassegna di Viaggi
OBIETTIVO SUL MONDO
Nel video i dettagli e sulla pagina Facebook dedicata, tutte le altre informazioni.
https://youtu.be/JumEXUBCKXI  video

http://www.mentelocale.it/genova/eventi/73618-obiettivo-sul-mondo-2018-multivisioni-di-viaggi-in-4-serate-le-proiezioni.htm programma delle 4 serate

Purtroppo per gravi motivi personali sono stato costretto a disdire questo impegno.

giovedì 4 gennaio 2018

UNA MISURA DI CIVILTA'


Fontana di Lyssos a Creta (GR)
A Creta la stagione turistica si protrae da aprile a novembre. Nei ristoranti di Chania o delle numerosissime località balneari bisogna prenotare il tavolo anche in bassa stagione, tanto sono affollati.
Posti meravigliosi, gente affabile e schietta, prezzi onestissimi, gastronomia eccellente e servizi della massima efficienza sono gli ingredienti di tanto successo. Lungo le nostre riviere a fine Settembre a volte non trovi un bar aperto per berti un caffè, tanto per fare un paragone, ma come mai?
A Creta, ma non succede solo lì, ti siedi al tavolo in un qualsiasi ristorante e ti portano, senza che tu l’abbia chiesta, una brocca di acqua naturale da bere, alla fine del pasto il tipico liquore raki ti viene offerto di default e il coperto non esiste nelle voci del menù. Insomma, i motivi per andare a Creta non mancano.
Andiamo ora sui monti.
Fontana a Sottoguda, ottima accoglienza anche turistica!
Lungo l’arco alpino l’acqua non manca di certo e i vecchi montanari hanno costruito fontane e abbeveratoi in ogni valle. Le prime per dissetare le persone e per fare il bucato e i secondi per le bestie. 
Prima, durante o dopo una gita, incontrare una fontana è sempre piacevole. 
Nel bel libro di Reinhold Messner Ritorno ai Monti, c’è una frase che considero di estrema poesia e pragmatismo: 

“nel tornare a valle la fontana disseta 
tanto il più audace degli alpinisti 
quanto il semplice camminatore”.

Nei paesi delle Dolomiti dove vivo le fontane stanno scomparendo perché l’avanzata del turismo ne fa a meno volentieri a vantaggio delle terribili bottiglie in plastica. Quando ero piccolo e dicevo a mia madre che avevo sete, mi diceva che a casa avrei bevuto. A volte prima di arrivare a casa mancava qualche ora e così ho imparato a sopportare la sete. Oggi, la mamma moderna, compra subito la famigerata bottiglietta.
Fontana a S.Rocco di Camogli

Torniamo ai monti. Laddove il turismo si espande le fontane lasciano posto ai bar e basta deviare per una valle laterale meno “firmata” che subito le fontane riappaiono. Io vivo in una di quelle e davanti a casa ho una fontana dove chiunque può bere, a qualsiasi ora. Trovo che incontrare l’acqua gratuita sia una grande dimostrazione di civiltà e un metro per valutarne la portata.
Un turista intelligente dovrebbe boicottare quelle località che levano le fontane in nome di un mancato controllo sanitario, usato come scusa. Bere da una fontana non ha mai fatto ammalare nessuno ma è gratis, questo è il problema. La sterilità e la dubbia provenienza, nonostante tutte le certificazioni a norma di legge  dell’acqua commerciale in bottiglia, contrastano nettamente con un’idea di libertà e nella Natura l’essere umano ama sentirsi libero. O forse mi sbaglio. Amava, sarebbe meglio dire, perché ai più la Natura fa paura e la vivono attraverso le vetrate della spa dell’hotel stellato nel quale si sono blindati per la vacanza di rito.

Fontana a Baunei in Sardegna
Ho vissuto molti anni in Sardegna dove l’acqua potabile è una risorsa rara. Rarissima in piena estate in certe zone. Il suolo calcareo non la trattiene in superficie e le poche sorgenti sono considerate luoghi sacri. Non di rado in corrispondenza di una sorgente si trovano immagini e manufatti religiosi a simboleggiare un’atavica e antica necessità umana.
La sacra fonte di Su Gologone è divenuta negli anni un'attrazione turistica.
Quando avevo poco più di dieci anni ho trascorso tre estati a Santulussurgiu, dove quotidianamente accompagnavo il mio amico Gian Bachisio, più grande di me di un anno, a dorso d’asino, a raggruppare le sue vacche presso l’unico abbeveratoio della zona, dove altri pastori facevano la coda con le loro greggi e mandrie, per abbeverare a dovere le bestie smagrite dal caldo e dalla siccità.
Mio padre, dall’alto della sua saggezza, ha imparato da molti anni a distinguere le diverse sorgenti per il tipo d’acqua che vi sgorga utilizzandola per curarsi lievi malattie, malesseri temporanei, indisposizioni del fisico. Questa cultura dell’acqua l’ha trasmessa a tutta la sua famiglia sottolineandone sempre il valore legato alla Natura, che ha da offrire ai suoi abitanti questa e altre preziosità.
Come posso dissetarmi acquistando una bottiglietta di plastica?
"La sete" foto di Giuseppe Cominetti 1958
Recarsi alla sorgente con orci rigorosamente di vetro (guai a usare taniche in plastica) è scomodo ma scandisce un tempo che non c’è più e che non andrebbe perduto. E’ come la stufa a legna in casa quando fa freddo. Con tre pezzi di legno ti scalda. Certo, il termostato a muro dove scegliere la temperatura ideale, anche da remoto, è una bella comodità. Arrivi a casa ed è calda al punto giusto. Ma quel paio d’ore spese ad attizzare il fuoco con addosso un bel maglione di lana pesante in attesa che la temperatura diventi accogliente, siamo così sicuri che siano buttate? Non sono forse le comodità che generano stress con il loro essere appunto comode?
Provate a starvene da soli davanti a un termosifone con una bottiglia di plastica e forse potrete rimpiangere chi se ne sta davanti a un bel fuoco con una brocca d’acqua di sorgente per dissetarsi a dovere.
L’acqua è indispensabile alla nostra sopravvivenza e non deve essere resa commerciale per il guadagno di pochi a discapito degli altri, che sono la maggior parte.
Un paese che si dichiara civile dovrebbe avere chiari questi valori di base prima di darsi a dei progetti ambiziosi d’ogni genere e sorta. L'acqua nelle bottiglie di plastica, non compratela.
Fontana di guerra sulla Cengia Martini al Lagazuoi

lunedì 1 gennaio 2018

TROLLEY GENERATION

Con la mia splendidamente scomoda
borsa a S.Isidro (ARG)
Nel 1990 viaggiavo molto e una nota ditta produttrice di valigie mi fece un regalo: una capiente borsa con manico allungabile e ruote. Le due rotelle, montate su cuscinetti a sfere, facevano spostare la borsa con estrema facilità e ci potevo caricare dentro un sacco di roba, anche pesante, portandomela appresso con poco sforzo. Ai tempi era una novità.
La usai molto, fino a sfondarla ma un calzolaio me la riparò e ce l’ho ancora. E’ bella perché è vissuta nell’aspetto e soprattutto funziona ancora a meraviglia. Ma non la uso più! Viaggio un po’ meno di allora ma abbastanza per avere bisogno di borse e non ne ho mai più voluta una con le ruote. Mi succedeva che caricavo un sacco di cose che poi non mi servivano . Sono sempre stato fedele al principio che se hai il dubbio tra portare o no una cosa, che magari potrebbe servire, quella cosa va lasciata a casa.
Evidentemente non la pensano così la maggior parte delle persone: basta prendere il treno, per incocciare in una moltitudine di passeggeri che trascinano dietro di sé pesanti valigie a ruote che poi non riescono a mettere sulle cappelliere, ingombrando i corridoi. Mi dico che in quelle valigie ci saranno sicuramente molte cose inutili, che vengono caricate al loro interno solo perché con le ruote si trasportano più facilmente.
Viviamo in un sistema fondato sulla crescita, dove l’essenzialità è malvista e non può essere associata all’odierna idea di benessere che si basa sul possesso di oggetti più o meno costosi e non sull’effettiva qualità della vita e sulla felicità delle persone. Per me “stare bene” non può dipendere dal possesso di cose ma da come mi sento indipendentemente da esse. E poi, con meno oggetti, si è più agili e leggeri.
Sono un alpinista e da molto tempo ho capito che per salire sulle montagne, facili o difficili che siano, meno cose ti porti e meglio è. Si è più veloci, efficaci, meno stanchi e non ultimo anche più sicuri.
Questo mio modo di pensare spesso mi procura dei problemi nei confronti di molte persone.
Mi compro pochi vestiti, cambio la macchina quando non ne può più e non quando esce un modello nuovo, mangio poco e le cose che possiedo so quanto durano e quindi non le cambio solo perché mi hanno stufato.
Insomma per il sistema sono un danno ma sono certo che inseguire la crescita a tutti i costi (stress, poco tempo libero, mancanza di affetti, ecc) non renda felici e porti malamente alla fine. Ogni cosa cresce e poi raggiunge un suo equilibrio, ma se continuiamo a pomparla per farla crescere sempre più, prima o poi scoppia.
A cavallo tra gli anni ’90 e i primi del 2000 ho fatto l’istruttore ai corsi per diventare Guida Alpina. Una bella esperienza a contatto con gente giovane e entusiasta di ciò che faceva. Mi sono sempre tenuto alla larga dalle “novità a ogni costo”  pur essendo curioso, e ho cercato soprattutto di insegnare agli allievi come si fa questo complicato e bellissimo lavoro. Smisi di fare l’istruttore quando, tra l’attrezzatura da alpinismo, apparve un oggetto assolutamente inutile: la dasy chain, un anello di fettuccia in nylon cucita in più punti in modo da ottenere molti anelli più piccoli a guisa di catena, utilizzabile per vari scopi. Il bello è che tutti questi scopi  possono essere assolti egregiamente dall’attrezzatura base che ogni alpinista si porta appresso. Non sto qui a elencarli, ma aggiungere un ulteriore attrezzo a quell’insieme, a volte complicato, di elementi che ci assicurano a una parete (imbragatura, moschettoni, fettucce, cordini, chiodi, ecc), mi sembra  superfluo e pure pericoloso.  In breve, nell’alpinismo, se di un oggetto non ne senti estremo bisogno significa che non serve averlo, ovviamente occorre scegliere con estrema cura solo l’indispensabile.  Nel 1983 Jean Marc Boivin salì in 10 ore l’integrale di Peuterey da solo dichiarando di non avere portato con sé la borraccia, visto che non gli serviva!

Un amico si era appena comprato un lussuoso pullmino 4x4, alle porte dell’inverno l’aveva dovuto dotare di pneumatici invernali e, alla mia proposta di venirmi a trovare in montagna per farci qualche gita, mi rispose che dopo l’acquisto delle gomme era rimasto senza soldi, e quindi sarebbe restato a casa. Robe da matti.


Non credo che la fatica vada scansata a prescindere. Ci sono connesse a essa infiniti elementi che determinano il nostro vero benessere. Quindi quando viaggio mi porto una borsona con tracolla e ci metto dentro l’indispensabile per non farla troppo pesante e per non ritrovarmi in giro pieno di cose inutili.