mercoledì 20 febbraio 2013

PINK FLOYD e THE DARK SIDE OF THE MOON 40 anni dopo

 WARNING: ulteriore partenza scialpinistica BERNER OBERLAND dal 19 al 22 maggio. VEDI QUI IL PROGRAMMA e tutte le INFO
C'E' DAVVERO TANTA NEVE!

Cosa c'entra la storia di un disco con le montagne?
Apparentemente proprio nulla ma parlare solo e sempre di montagne può risultare noioso e poi tutti abbiamo anche altre vite e altri interessi, no?
Tutti hanno avuto una colonna sonora della propria vita che associano a una canzone, a un autore, a un libro in particolare o a un quadro.
Diversamente leggetevi cosa dice Martha Medeiros nella sua poesia "Ode alla vita", ma andiamo avanti.
Il mio interesse per la musica dei Pink Floyd risale, si può dire, alla mia infanzia, quando a casa di un amico, suo fratello maggiore ci onorava di ascoltare in assoluto silenzio, come si faceva allora e come ancora io faccio oggi a casa mia, la musica di quegli anni a cavallo tra i '60 e i '70.
Casse JBL, piatto AKAI, ampli MARANTZ, mangiacassette PIONEER, equalizzatore TEAC, il tutto sistemato davanti a un divano rosso su cui ci sedevamo più mestamente di quando prendevamo posto in chiesa per la messa. Sul muro un poster con Denis Hooper e Jack Nicholson che sfrecciavano su un chopper in American Graffiti e un altro con Joe Di Maggio alla battuta sul vertice del diamante. Rigorosamente in bianco e nero.

Era l'estate del 1973 e le tapparelle erano abbassate per tenere fuori gli implacabili raggi del sole, il fratello maggiore di Adriano ci ordinò di sederci sul famoso divano rosso, ricordo perfettamente i tre ospiti che eravamo.
La copertina di quel disco era tutta nera e delle strisce colorate come un arcobaleno rettilineo la solcavano diagonalmente passando attraverso una piramide di vetro, ce la passavamo tra le mani religiosamente mentre il disco girava già sul piatto.
La puntina si abbassò sul vinile e un fruscio quasi impercettibile diede inizio a una serie di suoni, voci e melodie che, da quell'anomima stanza buia di una torrida giornata estiva di 40 anni fa, si portò 5 ragazzini in un mondo parallelo, bello quanto inquietante, per i quasi 43 minuti di The Dark Side of the Moon. Questo il titolo.
Finita la musica ci guardammo in faccia con gli occhi stranamente lucidi. Non piangevamo ma sapevamo, anche e in parte inconsciamente, che ci era successo qualcosa che ci avrebbe segnato per la vita.


Frozen Rats ph. Karin Pizzinini

A questo link trovate la storia dei Pink Floyd, ben raccontata dai soliti bravi esperti e appassionati Assante e Castaldo, che di ogni pezzo dicono che è stato il migliore della band, ma sono da capire...

Nel nostro piccolo abbiamo celebrato questo inizio pluriventennale suonando diversi pezzi dei Pink Floyd per i nostri amici il 21 marzo scorso. Qui la nostra band.


martedì 19 febbraio 2013

ABBIAMO FATTO HELISKI IN CANADA... MA SIAMO FELICI?

pisciata nei vecchi cessi di Serauta-Marmolada-Dolomiti
 Calma, calma, mica sono andato in Canadà a sciare perdendomi anche solo qualche giorno di Dolomiti in una stagione bella come questa.

Non è infatti di heliski in Canada che voglio parlare, ma di chi ci va.
E' vero, generalizzare è troppo facile, ma lo farò ugualmente, anche se so benissimo che tra chi va in Canada a fare heliski ci sono ottimi sciatori appassionati.

Questo scritto delirante prende spunto dal fatto che sempre più numerosi “freeriders”, prima di venire a sciare fuoripista con me, scrivono tra le loro credenziali che hanno sciato in Canada usando l’elicottero. Premetto che non sono né pro né contro l’heliski in generale perché molto dipende da dove lo si fa: può essere molto remunerativo o molto stupido, ma non è di questo che voglio parlare.

Mattia Maldonado a telemark in Val Chedul.
Le più acclamate compagnie nordamericane di heliski hanno da anni messo a punto una formula quasi sempre vincente, che permette a uno sciatore medio neppure troppo allenato di inanellare molti metri di dislivello in discesa (vertical feets) per aggiudicarsi gadgets come giacche a vento, occhiali a maschera, berretti e guanti con su ricamata la prestigiosa dicitura “25.000, 45.000… vertical feets”. A parte il fatto che questi “riconoscimenti” sono a pagamento e non sono neppure a buon mercato, la cosa che più mi meraviglia sono i personaggi che li ottengono e che poi li sfoggiano con orgoglio snobbando il più delle volte chi non li ha.
Ora, io faccio la guida da trent’anni e ne ho viste di tutti i colori, belli e brutti, ma parlando di sci “libero” mi ricordo che nelle nostre Dolomiti nei primi anni '80 accompagnavamo fior di sciatori giù per canali ancor oggi considerati belli ripidi.
Ho avuto la fortuna di lavorare nelle Dolomiti con i francesi della scuola di sci estremo fondata da Patrick Vallencant di Argentiere/Chamonix e portavamo gruppi di sciatori nei canali Holzer e Joel al Pordoi o allo Staunies sul Cristallo, nella Val Scura del Sassongher , solo per fare qualche esempio, quando questi canali venivano scesi rarissimamente e da pochi specialisti.
Il ripido era di moda in Francia e i miei colleghi d’oltralpe chiamavano Val Merdì la Val Mesdì perché la trovavano noiosa e improponibile a chi si iscriveva a degli “stages di sci estremo”.
Ma ancora oggi, quando le previsioni meteo annunciano copiose nevicate i miei amici di Chamonix, Verbier e del Monterosa vengono a sciare qui appena fa bel tempo. Sarà che le Dolomiti sono un terreno per il fuoripista tutt’altro che banale? E che noi guide alpine di queste montagne, abituati al ripido e con la corda sempre pronta nello zaino, non siamo così malaccio?
Siamo forse arrivati in ritardo su molte cose ma di certo non c’è terreno che ci impensierisca più di tanto. Stop.

Albi De Giuli in azione lungo la diretta dei Ciamurch-Sella-Dolomiti
Questo tanto per darvi un’ idea.


Oggi se qualcuno mi dice che ha fatto heliski in Canada so già che è un turista danaroso appesantito dal benessere e spaventato mortalmente dall’incertezza; che è stato messo comodo su un elicottero che lo ha depositato in cima a una discesa perfetta e che l’elicottero lo ha poi raccolto in fondo non appena la pendenza non gli consentiva più di scivolare a valle per portarlo in cima a un’altra discesa perfetta. Un beverone a base di cocacola per idratarsi e un paio di sci “fat” (come lui) ai piedi, per rendere il tutto fattibile et voilà, lo sciatore si sente invincibile e pronto ad affrontare ogni pendio.
Ma non nelle Dolomiti, dove ci sono le rocce, le pareti da aggirare, qualche metro a scaletta da fare e magari anche qualche metro in cui bisogna darci dentro con le braccia per spingere un poco o fare un po’ di lisca di pesce fino al pendio successivo.
Pochi giorni fa uno mi ha detto seccatissimo perché doveva risalire circa 3 metri di dislivello in salita: "sono venuto a sciare in discesa!"
Certo è che con tutti quei caschi, paraschiena, occhialoni e accessori d’ogni foggia e peso, uno si muove pesantemente. Sciando fuoripista raramente si soffre il freddo. E’ uno sport, quindi ci si scalda.
Meglio essere leggeri, ma vaglielo a dire…
Insomma, se tra le credenziali che uno sciatore esibisce nel suo curriculum c’è l’heliski in Canada io tremo e mi dico: oddio cosa potremo fare senza cacciarci nei guai?
E’ come se uno mi dicesse che per scelta usa solamente uno sci, che ha lo zaino pieno di sassi o comunque qualcosa che lo impedisca terribilmente.
 Certo tutta quella polvere, le tracce perfette, l’elicottero, i sigari cubani, i riconoscimenti a pagamento e tutti i soldi che uno deve sborsare per una settimana bianca come quella, rendono sicuramente soddisfatti quei personaggi che apprezzano questo modo di vivere la montagna d’inverno.

Freerider stanco

La felicità, però, è un’altra cosa.