lunedì 30 dicembre 2013

Una Supercanaleta delle non ambizioni


il versante meno bello del Fitz Roy con la Supercanaleta al centro
 A El Chaltén, questa stagione pare essere di quelle di una volta. Il tempo è sempre brutto e le finestre di bello a cui tutti si erano abituati negli ultimi due anni, sembrano solo un ricordo. L'impazienza di stare a fondovalle, però, si insinua giorno per giorno nelle nostre menti malate di scalatori, quindi sono innumerevoli i tentativi, le false partenze e gli obbiettivi mancati. Con il mio compagno Max a novembre partiamo per il Cerro Standhardt dove la via Exocet scorre sulla parete est mentre il vento soffia da ovest... Sveglia a mezzanotte dal campamento Noruegos ma il cielo promette solo guai senza stelle e ripuntiamo la sveglia alle 4. Quando suona, stessa storia e ci giriamo dall'altra parte finchè alle 7 Max esce dalla tenda a pisciare e dice, è bello!
Alle otto siamo pronti a partire per andare a dare un'occhiata. Fa caldo e la neve per guadagnare il colle Standhardt è pesante. Raggiunto il colle la rabbia del vento ci dà una violenta scrollata facendoci decidere di continuare. Il primo tiro di misto, sul quinto grado, mi impegna abbastanza, non per la difficoltà in sé quanto per il non farmi strappare via dalle raffiche malefiche di questo vento gelato.
Dopo il secondo tiro siamo a est riparati e tranquilli. Proseguiamo portandoci dietro il raffreddore che Max si è preso al colle e che lo torturerà per settimane. Raggiungiamo la goulotte caratteristica di questo capolavoro di Bridwell e quasi arriviamo in cima decidendo, forse a torto, di scendere perché ci sembrava tardi. In verità avremmo avuto tutto il tempo, ma si sa, col senno di poi è facile dire quello su cui prima si dubitava.
Max parte e sembra che due giorni dopo arrivi una finestra. Ormai tutti usano questa parola per dire che potrebbe fare qualche giorno di bel tempo. È che quando é sempre brutto, anche i migliori meteorologi (leggi Garibotti) se sono anche loro scalatori iniziano a vedere finestre anche laddove non ci sono che piccoli oblò.
Quindi parto con Franz, 30 anni più giovane di me ma ben temprato da una lunga permanenza sulla ovest della Torre Egger con il suo omonimo Salvaterra per aprire una viona che nessuno mai ripeterà.
Meta nostra la Supercanaleta al Fitz Roy che presenta l'ultimo quarto di parete imbiancato come non mai. Ma si parte convinti, io forse più di Franz, assieme a Diego e due Marchi (Farina e Majori dell' Esercito e fortissimi!) che fanno l'altra cordata che alle due del mattino risale il conoide iniziale di questo viaggio verticale. Il conoide è affolato da altre cordate, almeno tre, ovvero una decina di lampade frontali traballanti che rallegrano la consueta atmosfera lugubre di questi casi. Quella che Desmaison caratterizza in suo libro scrivendo che la crepaccia terminale puzza di cantina umida e il sonno rende tutto ovattato.
I miei compagni notano due belle ragazze bionde tra gli altri aspiranti alla via. Me lo dicono meravigliandosi che io non le abbia notate. Forse ero impegnato a correre dietro ai miei soci supergiovani per guadagnare la prima posizione in salita, ma proprio non le ho notate. Mi dispiace, gli dico col fiatone. Già da dove il pendio si raddrizza per entrare nel couloir di oltre mille metri che segna l'inizio di questa via classica, la mia esperienza di guida mi dice che noi cinque siamo i più veloci. La cosa mi conforta assai e non voglio perdere la pole position, anche se questo ha il suo prezzo, che significa polpacci di fuoco per due ore buone e concentrazione assoluta esclusivamente sulle tre punte d'acciaio che si alternano nel collegare la mia esistenza a questo pianeta. Per il passo ambio alla Steck ci saranno altre occasioni. Magari più brevi di questa "grand course" nel vero senso della parola.
Ci leghiamo solo all'inizio delle difficoltà che fin da subito non sono così banali come pensavamo. Parte Franz ed è subito un buon quinto che in arrampicata sarebbe il grado da cui si inizia, ma che qui si presenta complicato da ramponi, piccozze e guanti che si fanno chiamare misto moderno. Un'arte neppure troppo recente a cui si è dato il nome di drytooling tanto per rendere questo procedere goffo e perlopiù incerto, almeno una specialità che conti degli adepti.
Le nuvole nere in cielo e la rapidità con cui si spostano mentre l'alba fa capolino, mi fanno dire a Franz che sarebbe meglio scendere ma abbiamo tanto tempo,perché in effetti siamo stati veloci su per la canaleta, quindi si prosegue. Passo davanti imbattendomi nel corpo di Frank imbrigliato nel ghiaccio, un poveraccio caduto qui anni fa e mai recuperato. La mountain bike appesa al soffitto della Chocolateria lo ricorda come un amigo del pueblo. Ciao Frank, si deve andare avanti e lo facciamo bene senza perdere troppo tempo. E siamo così all'uscita della via Californiana. La cima sembra lì a pochi passi ma ci tocca aggirare torri verticali, superare pareti che da sotto sembravano alte pochi metri mentre le dimensioni da vicino si moltiplicano per dieci. Il ghiaccio ricopre tutto, ma proprio tutto e costringe a un gran lavoro di pulitura che ci fa andare lenti lenti. Ci alterniamo al comando e battiamo i denti dal freddo perché la "finestra" era solo nella nostra fantasia speranzosa. Siamo in una perenne nuvola grigio scuro che non mette buonumore per nulla e il vento ci viene a cercare dietro a ogni spigolo oltre il quale cerchiamo di ripararci. Si, da queste parti ti accorgi che il vento non soffia solo da una direzione ma quando non dovrebbe si mette a soffiare da tutte quelle più fatidiose dandoti l'impressione inquietante che ti stia cercando con convinzione e goda da morire a sottrarre calore dal tuo corpo già provato da altri eventi del momento.
Nonostante le tre giacche che indosso ho la netta sensazione che il poco calore del mio corpo se ne stia andando a contatto con i miei indumenti freddi. Le ore passano in una progressione lenta e per nulla divertente,nonostante le battute idiote che ci scambiamo.L'alpinismo estremo (!?) non è affatto cosa seria, anche se molti lo credono.
Quando la via è finita la cima è lì a pochi minuti. Si può raggiugere camminando su per una rampa detritica esteticamente deprimente. Ci sono degli squarci nel cielo e compare perfino il tipico azzurro saturo che è la gioia dei fotografi con panza e teleobbiettivo da finestrino del bus. La mia meta è il primo ancoraggio per le doppie che portano nuovamente nella Supercanaleta, e quindi alla base. Alla cima vera e propria non salirei neppure se dio mi promettesse un berlusconiano elisir di vita infinita. Sulla cima del Fitz ci sono già stato ma penso che gli altri ci tengano a raggiungerla per la prima volta. E invece no! Noto non senza un minimo di soddisfazione, che la conquista dell'inutile di terrayniana memoria ha in questo momento un realistico sopravvento, è proprio il caso di dirlo, e tutti siamo concordi nello scendere immediatamente. Pensavo di essere vecchio, infreddolito e demotivato perché non mi interessava affatto andare fino in cima ma capisco che tutti e cinque concordiamo sul fatto di averne pieni i coglioni. Negli ultimi momenti della via ho pensato che non mi interessava a tutti i costi farla, ma che si può incontrare in condizioni migliori e goderne molto di più. Questo mi ha fatto soffrire più ancora mentalmente prima che fisicamente, anche perché ormai ero lì.
Questo momento mi ha fatto e rifatto riflettere sul mio alpinismo, su tutti questi anni passati a sforzarmi di credere in certi obbiettivi come il massimo della vita. E invece no. La mia vita é occupata anche da altre cose, soprattutto da altre persone, dai miei figli, dalla mia famiglia, dalla mia chitarra e dalla finestra di casa mia. Una finestra che so che esiste e che non é eterea come quelle meteo che qui si aspettano e si inventano.
Fanculo l'alpinismo mi dico con soddisfazione e gioia, pur amandolo ancora e sapendo che ai monti tornerò sempre, se potrò. Ma ci tornerò secondo il mio sentire, che è un qualcosa che negli anni cambia e secondo me si evolve al mio interno e mi fa decidere come interpretarlo.
Il fascino di queste e di altre cime per me restano immutati. Le montagne sono lì e non si spostano per definizione, ma noi ci possiamo spostare, possiamo percepire, pensare e agire di conseguenza. Possiamo perfino inventarci una cosa come l'alpinismo. E tutto questo è fantastico!

El Chaltén, penultimo giorno del 2013, ore 11,52.

Via Exocet 1°tiro, Cerro Standhardt Ph. Max Lucco


domenica 8 settembre 2013

lCE CLIMBING 2014


Via Exocet, Cerro Standhardt, Patagonia


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sabato 24 agosto 2013

ICARO CI MANCHERAI SEMPRE!

http://www.planetmountain.com/News/shownews1.lasso?l=1&keyid=41133
Namche Bazaar ott.2006
Del sorriso che Icaro aveva sempre per chiunque incontrasse me ne sto accorgendo adesso perché so che non lo rivedrò più. Me lo voglio ricordare nei posti che amavamo entrambi, che sono tantissimi. Di quella volta che ci siamo incontrati vicino a Namche Bazaar, quando lui scendeva e io salivo mentre facevamo il nostro lavoro di guide di montagna. Quando i clienti stanno lì ad aspettarti e tu vorresti chiacchierare di più con un amico ma non puoi perché vai in due direzioni diverse. O di quella volta che passando da La Leona prima dell'asfalto, mi dissero: è passato uno che ti conosce, si chiamava Icaro "un personaje...". O di quando seduti sull'erba alle Crepe d'Oucera mi ha detto che io ero il migliore istruttore delle Guide Alpine che avesse mai conosciuto, pur sapendo io che non era vero in assoluto, ma ero contento che lo fosse per lui. O di quando mi regalò una spilla dei Pink Floyd, una t-shirt e un Pass avuti metre lavorava a montare il loro palco prima di un concerto. O di quando festeggiammo su una vecchia barca in Sardegna il compleanno di Sandro ancorati all'Isolotto con, tra gli altri, Lynn Hill e una banda di americani che non capivano perché ci divertissimo tanto. O di quando faceva il tecnico del suono dei Frozen Rats. O di quando mi diceva che secondo lui ero un telemarker nel fondo dell'anima pur non avendolo io mai pensato. O di quando al suo compleanno ci eravamo nascosti in casa di Karin al buio per fargli gli auguri a sorpresa e lo spaventammo da morire. Qualche giorno fa mentre arrampicavo con Mattia, prima di calarci giù da uno strapiombo, lui si fa l'autobloccante con un cordino già pronto e fermato raffinatamente con un apposito gommino. Dritta di Icaro, mi dice, e si cala nel vuoto. Il 22 agosto abbiamo festeggiato il suo 53esimno compleanno su un prato della Val Badia. Eravamo in centinaia e personalmente ho rivissuto dei pezzi della mia vita che avevo anche dimenticato, reincontrando molte delle persone presenti. Io sono piuttosto antisociale, sono un bastian contrario i riti collettivi mi fanno orrore, sono ateo e non credo alle favole, però a un certo punto Karin ci ha detto che dovevamo metterci in cerchio abbracciandoci. Si è formato quasi spontaneamente un gigantesco girotondo in cui tutti guardavano tutti. Ci siamo riconosciuti istantaneamente tutti quanti in quel cerchio magico. Non soffiava vento, la luce del sole tra le poche nuvole era di quelle speciali, sulle pareti del Sas Dlacia arrampicavano in molti di noi e tutti erano bellissimi in quel silenzio immobile che si è creato. Cazzo Icaro, sei riuscito anche questa volta a farmi cambiare idea perché mi sono durati i brividi dentro per almeno un'ora, mentre Karin commossa da dentro al cerchio ci ringraziava! Secondo me, anche se ci vedo poco, tra tutte quelle persone abbracciate in cerchio c'eri anche tu, sono sicuro, eri tra mia figlia e un cane marron che aveva smesso di abbaiare perché anche le percezioni extra-umane dei cani avevano capito che quel momento era davvero speciale. Ciao caro Icaro, hai fatto una vera vita e ce l'hai abbellita pure a noi che ti abbiamo conosciuto.

venerdì 9 agosto 2013

ROTTI E STRACCIATI - Canazei 24 agosto ore 21, ingresso libero

Quando ho iniziato ad arrampicare erano gli anni settanta. L'arrampicata, quella sportiva, non esisteva ancora e le falesie si chiamavano palestre perché servivano a prepararsi per sfide ad alte quote, sulle montagne insomma. L'alpinismo non era per me uno svago ma una fuga da quello che non mi piaceva e contro cui ho sempre nutrito antipatia. Le regole, la scuola e i professori, gli inquadramenti e i recinti dello spirito. Io studente mi accompagnavo a un gruppo eterogeneo di personaggi più grandi di me che dedicavano tutto il loro tempo libero all'alpinismo,operai,avvocati,medici,filosofi e terroristi rossi. E mi hanno insegnato a vivere. Dei tipi così non si vestivano di certo da fighetti ma si infilavano quello che capitava pescandolo tra la roba vecchia da buttare. Si badava esclusivamente alla sostanza. Quando si arrampicava e si bivaccava nelle grotte non serviva vestire elegantemente. Era meglio avere una chitarra e del buon vino semmai, che dei pantaloni nuovi! Quella di ROTTI e STRACCIATI è una storia in cui mi vedo da giovane, per questo, e non solo, la promuovo volentieri qui su suggerimento dell'amico Alberto Graia (uno che disegna da far paura...) "ERANO ROTTI E STRACCIATI" Provare a inanellare avvenimenti. Costruire il racconto di quegli anni, lontani dall'eroica alpina ma assolutamente vicini alla voglia umana di avventura e vita. Cercare di collegare poi il tutto alla realtà inventando un filo logico che leghi le vicende. Video e foto di ieri ma anche di oggi e soprattutto i disegni di un amico ( Alberto Graia ) per raccontare tutto quello che c'era allora oltre l'immediatamente visibile, nel tentativo di creare una serata fra lettura e teatro. La storia di Pierluigi Bini, di Vito Plumari e delle loro avventure fra le Dolomiti e il Gran Sasso. "ERANO ROTTI E STRACCIATI" Val di Fassa, Canazei, 24 agosto 2013 alle ore 21,00 Ingresso libero http://www.youtube.com/watch?v=QQIac2hw0CA Andateci!

mercoledì 3 luglio 2013

L'UNESCO si sveglia nelle Dolomiti al suono delle marmitte

NO COMMENT

Oggi sul Corriere delle Alpi ho visto il titolo:
UNESCO: troppe moto sulle Dolomiti!
Finalmente se ne sono accorti. Sono anni che c'è questo problema. Meglio tardi che mai.
Ma l'UNESCO a cosa serve? Fin'ora, qui nelle Dolomiti, ad attrarre più gente con conseguenti ampliamenti di ricettività, vie di comunicazione, piste da sci, impianti di risalita, sentieri, etc.
Siamo sicuri che sia un bene? Secondo me non lo è.
per saperne tristemente di più
http://www.youtube.com/watch?v=wGjDgYdaFqQ

http://dolomitesport.com/2011/12/unesco-dolomites-and-motorcycles




martedì 7 maggio 2013

SELVAGGIO BLU "il libro" e Portfolii di Marco Rocca e Dan Patitucci


clicca sulla copertina per acquistare il volume
 Mario Verin e Giulia Castelli Gattinara, ed. E.Spanu
lingua: italiano, tedesco, inglese 

confezione: brossura
peso: 1020 g
prezzo: € 29.90
formato 24x24
175 pagine
La storia, le immagini, l'itinerario e i consigli utili e molte curiosità storico-culturali sul magnifico e misterioso territorio di Baunei. Una sola pecca (che gli autori-che sono cari amici- mi perdoneranno, spero): i bastoncini telescopici per camminare qui sono assolutamente sconsigliabili!


IL PROSSIMO 8 GIUGNO A BAUNEI c/o Centro Documentazione ci sarà la presentazione del Libro, ingresso libero. Qui le info per partecipare.

Marco Rocca, bravo fotografo e compagno di ormai svariate avventure Patagoniche, Himalayane e pluri-mediterranee (è al suo secondo Selvaggio Blu)  mi ha mandato delle foto scattate durante Selvaggio Blu, appunto, fatto assieme lo scorso Aprile. Ne propongo qui una piccola selezione per farvi sognare. Com'é giusto che sia!

Portu Quau


Monte Caroddi (=carota) o Aguglia di Goloritzé


Pomeriggio a Goloritzé

Alba a Goloritzé

Tra Oronnoro e Sisine

Ginepro, Terebinto e Leccio su sfondo blu mare

Cuile Salinas


M.Cominetti e Marco Rocca nell'antro sospeso di Biriola
 Non posso fare a meno di linkarvi al foto-racconto, sullo stesso itinerario, realizzato da Janine e Dan Patitucci (uno dei migliori fotografi di outdoor del pianeta) in compagnia del sottoscritto e del giornalista Tim Neville per il New York Times nel 2008. Qui le gesta.


Euro beach ph. Dan Patitucci



mercoledì 20 febbraio 2013

PINK FLOYD e THE DARK SIDE OF THE MOON 40 anni dopo

 WARNING: ulteriore partenza scialpinistica BERNER OBERLAND dal 19 al 22 maggio. VEDI QUI IL PROGRAMMA e tutte le INFO
C'E' DAVVERO TANTA NEVE!

Cosa c'entra la storia di un disco con le montagne?
Apparentemente proprio nulla ma parlare solo e sempre di montagne può risultare noioso e poi tutti abbiamo anche altre vite e altri interessi, no?
Tutti hanno avuto una colonna sonora della propria vita che associano a una canzone, a un autore, a un libro in particolare o a un quadro.
Diversamente leggetevi cosa dice Martha Medeiros nella sua poesia "Ode alla vita", ma andiamo avanti.
Il mio interesse per la musica dei Pink Floyd risale, si può dire, alla mia infanzia, quando a casa di un amico, suo fratello maggiore ci onorava di ascoltare in assoluto silenzio, come si faceva allora e come ancora io faccio oggi a casa mia, la musica di quegli anni a cavallo tra i '60 e i '70.
Casse JBL, piatto AKAI, ampli MARANTZ, mangiacassette PIONEER, equalizzatore TEAC, il tutto sistemato davanti a un divano rosso su cui ci sedevamo più mestamente di quando prendevamo posto in chiesa per la messa. Sul muro un poster con Denis Hooper e Jack Nicholson che sfrecciavano su un chopper in American Graffiti e un altro con Joe Di Maggio alla battuta sul vertice del diamante. Rigorosamente in bianco e nero.

Era l'estate del 1973 e le tapparelle erano abbassate per tenere fuori gli implacabili raggi del sole, il fratello maggiore di Adriano ci ordinò di sederci sul famoso divano rosso, ricordo perfettamente i tre ospiti che eravamo.
La copertina di quel disco era tutta nera e delle strisce colorate come un arcobaleno rettilineo la solcavano diagonalmente passando attraverso una piramide di vetro, ce la passavamo tra le mani religiosamente mentre il disco girava già sul piatto.
La puntina si abbassò sul vinile e un fruscio quasi impercettibile diede inizio a una serie di suoni, voci e melodie che, da quell'anomima stanza buia di una torrida giornata estiva di 40 anni fa, si portò 5 ragazzini in un mondo parallelo, bello quanto inquietante, per i quasi 43 minuti di The Dark Side of the Moon. Questo il titolo.
Finita la musica ci guardammo in faccia con gli occhi stranamente lucidi. Non piangevamo ma sapevamo, anche e in parte inconsciamente, che ci era successo qualcosa che ci avrebbe segnato per la vita.


Frozen Rats ph. Karin Pizzinini

A questo link trovate la storia dei Pink Floyd, ben raccontata dai soliti bravi esperti e appassionati Assante e Castaldo, che di ogni pezzo dicono che è stato il migliore della band, ma sono da capire...

Nel nostro piccolo abbiamo celebrato questo inizio pluriventennale suonando diversi pezzi dei Pink Floyd per i nostri amici il 21 marzo scorso. Qui la nostra band.


martedì 19 febbraio 2013

ABBIAMO FATTO HELISKI IN CANADA... MA SIAMO FELICI?

pisciata nei vecchi cessi di Serauta-Marmolada-Dolomiti
 Calma, calma, mica sono andato in Canadà a sciare perdendomi anche solo qualche giorno di Dolomiti in una stagione bella come questa.

Non è infatti di heliski in Canada che voglio parlare, ma di chi ci va.
E' vero, generalizzare è troppo facile, ma lo farò ugualmente, anche se so benissimo che tra chi va in Canada a fare heliski ci sono ottimi sciatori appassionati.

Questo scritto delirante prende spunto dal fatto che sempre più numerosi “freeriders”, prima di venire a sciare fuoripista con me, scrivono tra le loro credenziali che hanno sciato in Canada usando l’elicottero. Premetto che non sono né pro né contro l’heliski in generale perché molto dipende da dove lo si fa: può essere molto remunerativo o molto stupido, ma non è di questo che voglio parlare.

Mattia Maldonado a telemark in Val Chedul.
Le più acclamate compagnie nordamericane di heliski hanno da anni messo a punto una formula quasi sempre vincente, che permette a uno sciatore medio neppure troppo allenato di inanellare molti metri di dislivello in discesa (vertical feets) per aggiudicarsi gadgets come giacche a vento, occhiali a maschera, berretti e guanti con su ricamata la prestigiosa dicitura “25.000, 45.000… vertical feets”. A parte il fatto che questi “riconoscimenti” sono a pagamento e non sono neppure a buon mercato, la cosa che più mi meraviglia sono i personaggi che li ottengono e che poi li sfoggiano con orgoglio snobbando il più delle volte chi non li ha.
Ora, io faccio la guida da trent’anni e ne ho viste di tutti i colori, belli e brutti, ma parlando di sci “libero” mi ricordo che nelle nostre Dolomiti nei primi anni '80 accompagnavamo fior di sciatori giù per canali ancor oggi considerati belli ripidi.
Ho avuto la fortuna di lavorare nelle Dolomiti con i francesi della scuola di sci estremo fondata da Patrick Vallencant di Argentiere/Chamonix e portavamo gruppi di sciatori nei canali Holzer e Joel al Pordoi o allo Staunies sul Cristallo, nella Val Scura del Sassongher , solo per fare qualche esempio, quando questi canali venivano scesi rarissimamente e da pochi specialisti.
Il ripido era di moda in Francia e i miei colleghi d’oltralpe chiamavano Val Merdì la Val Mesdì perché la trovavano noiosa e improponibile a chi si iscriveva a degli “stages di sci estremo”.
Ma ancora oggi, quando le previsioni meteo annunciano copiose nevicate i miei amici di Chamonix, Verbier e del Monterosa vengono a sciare qui appena fa bel tempo. Sarà che le Dolomiti sono un terreno per il fuoripista tutt’altro che banale? E che noi guide alpine di queste montagne, abituati al ripido e con la corda sempre pronta nello zaino, non siamo così malaccio?
Siamo forse arrivati in ritardo su molte cose ma di certo non c’è terreno che ci impensierisca più di tanto. Stop.

Albi De Giuli in azione lungo la diretta dei Ciamurch-Sella-Dolomiti
Questo tanto per darvi un’ idea.


Oggi se qualcuno mi dice che ha fatto heliski in Canada so già che è un turista danaroso appesantito dal benessere e spaventato mortalmente dall’incertezza; che è stato messo comodo su un elicottero che lo ha depositato in cima a una discesa perfetta e che l’elicottero lo ha poi raccolto in fondo non appena la pendenza non gli consentiva più di scivolare a valle per portarlo in cima a un’altra discesa perfetta. Un beverone a base di cocacola per idratarsi e un paio di sci “fat” (come lui) ai piedi, per rendere il tutto fattibile et voilà, lo sciatore si sente invincibile e pronto ad affrontare ogni pendio.
Ma non nelle Dolomiti, dove ci sono le rocce, le pareti da aggirare, qualche metro a scaletta da fare e magari anche qualche metro in cui bisogna darci dentro con le braccia per spingere un poco o fare un po’ di lisca di pesce fino al pendio successivo.
Pochi giorni fa uno mi ha detto seccatissimo perché doveva risalire circa 3 metri di dislivello in salita: "sono venuto a sciare in discesa!"
Certo è che con tutti quei caschi, paraschiena, occhialoni e accessori d’ogni foggia e peso, uno si muove pesantemente. Sciando fuoripista raramente si soffre il freddo. E’ uno sport, quindi ci si scalda.
Meglio essere leggeri, ma vaglielo a dire…
Insomma, se tra le credenziali che uno sciatore esibisce nel suo curriculum c’è l’heliski in Canada io tremo e mi dico: oddio cosa potremo fare senza cacciarci nei guai?
E’ come se uno mi dicesse che per scelta usa solamente uno sci, che ha lo zaino pieno di sassi o comunque qualcosa che lo impedisca terribilmente.
 Certo tutta quella polvere, le tracce perfette, l’elicottero, i sigari cubani, i riconoscimenti a pagamento e tutti i soldi che uno deve sborsare per una settimana bianca come quella, rendono sicuramente soddisfatti quei personaggi che apprezzano questo modo di vivere la montagna d’inverno.

Freerider stanco

La felicità, però, è un’altra cosa.
 



martedì 29 gennaio 2013

ORTOVOX Safety Academy 27 gennaio Capanno Tassoni, Appennino Modenese e sci WHITE DOCTOR

Due notizie "neve"
1) Ottimi risultati d'uso degli sci WHITE DOCTOR per freeride (ma anche pista). Il modello TW10 presenta una costruzione tradizionale in legno e in discesa scatena tutta la sua potenza grazie a una struttura forte ma che asseconda alla perfezione lo sciatore. Dall'aria prettamente "pro" che questi sci emanano a prima vista si passa dopo poche curve a un uso polivalente "quasi" per tutti. Sono sci più facili da usare di quello che sembra ma che vanno "sciati" per ottenere il meglio delle prestazioni che serbano al loro interno.




2) Piacevole e ottimo l'esito dell'appuntamento organizzato da ORTOVOX per i corsi della SAFETY ACADEMY, ovvero come imparare a muoversi sulla neve in sicurezza.
La ditta tedesca ORTOVOX costruttrice degli apparecchi ARTVA digitali di ultima generazione e di ogni accessorio di sicurezza invernale, in collaborazione con Outback97 di Bergamo, propone diversi appuntamenti (calendario e altre info su www.outback.it) aperti a ciaspolatori, freeriders, scialpinisti e a chiunque operi su terreno innnevato per diletto o professione.
Lo scopo è quello di imparare quanto più possibile in tema di sicurezza e uso delle moderne apparecchiature. Infatti l'impiego della tecnologia digitale e del concetto di "smart-antenna", rendono estremamente semplice ed efficace l'utilizzo dei moderni ARTVA.
Non ultima la possibilità di avere sul mercato un apparecchio, il modello ZOOM, a un prezzo estremamente conveniente. Questo fattore dovrebbe convincere anche i più restii mancati acquirenti di ARTVA perché frenati da costi alti.
La pelle vale molto più di qualche decina di euro, senza calcolare che potendo autosoccorrersi tra compagni di escursione, le pelli che si possono salvare sono di più che non solamente la propria.
Lo scorso 27 gennaio presso l'ospitale Capanno Tassoni sull'Appennino Modenese, sotto la direzione di Manuel Lugli e con la collaborazione del collega Marco Spazzini e del sottoscritto, si è svolto appunto uno di questi appuntamenti.
Lo scrivo perché sono convinto che questi corsi dovrebbero essere frequentati da ogni appassionato, dal ciaspolatore domenicale al freerider più incallito!
Anzi, aggiungo che regalare uno di questi corsi a chi si ama (mogli, mariti, figli, amici, etc...) è un regalo coi fiocchi, utile, interessante e pure divertente. Pensateci!

Via nuova sul piccolo Lagazuoi, Dolomiti Ampezzane

Nuova via di misto sulla parete sud del Lagazuoi Piccolo, proprio sotto la funivia che sale da Passo Falzarego.

Salita il 20 gennaio 2013 da Partizia Ronchi, Marco Ferraris e Marcello Cominetti.

La via termina sulla Cengia Martini da dove ci si può calare con 3 doppie da 52, 45 e 40m.

Sviluppo ca. 230m
Difficoltà III-5+/A0-M6

Per una ripetizione portare una serie ridotta di friends, 6 viti, nuts piccoli. Lasciati 2 chiodi e 2 spit di via + 4 spit e un chiodo, di sosta.

La via è bella! Si chiama LAGRIMITA.