domenica 19 dicembre 2010

LETTURE "CONTRO" PER PICCOLI E GRANDI

Qualche anno fa, appena sbarcato da un volo proveniente da Buenos Aires, venni invitato a cena a casa di amici ai quali avevo promesso che avrei portato qualcosa di tipico da mangiare.
Mi presentai con una scatola di Baci Perugina e mi sentii dire: ma questo non è un cibo tipico argentino!? Come no, risposi, in Argentina ne vanno ghiotti tutti, quindi laggiù è diventato un dessert tipicissimo. Ormai di tipico non esiste quasi più nulla e la scatola di Baci l’avevo comprata nell’aeroporto di Fiumicino.
Esordisco con questo episodio per parlare di due libri identici ma diversi, uno per bambini, uno no. Trovateci voi la relazione.
Il primo s’ intitola L’Albero, scritto da Shel Silverstein (ed.Salani) e racconta di un albero, che diventa amico di un bambino che gioca ai suoi piedi. Il bambino cresce e chiede all’albero un sacco di cose: di incidere sul suo tronco il nome della fidanzata, di dargli i suoi rami per fare il fuoco per scaldarsi, di mangiarne ovviamente i frutti, fino a chiedergli il suo tronco per costruirsi una barca per fuggire e, infine, di potersi sedere, ormai vecchio, sul suo ceppo. Ogni volta l’albero è felice di aiutare il suo amico e questo approfitta senza indugi di tanta disponibilità. E’ la benevolenza innata della Natura verso la cupidigia umana che la sfrutta finché può.
La stessa contrapposizione Natura magnanima-Uomo sfruttatore la ritroviamo, nelle pagine estreme di Enrico Manicardi e il suo tomo di oltre 500 dense pagine: Liberi dalla Civiltà, (ed. Mimesis) un saggio pesante che rende leggeri.
Manicardi prima di tutto provoca ma illustra anche dettagliatamente il perché del suo scagliarsi contro ogni forma di civiltà cui l’uomo si sia dedicato da quando da cacciatore-raccoglitore si è trasformato in agricoltore stanziale.
Secondo Manicardi è soprattutto la paura che regola ogni rapporto interno alla nostra società odierna. Economia, tecnologia, religione, dominio politico e addirittura cultura, vengono analizzate dalle origini fino alle conseguenze attuali e vengono ricondotte alla paura insita nell’essere umano che si aggrega, allea, prega, conta, calcola, esamina, studia, mangia e immagazzina al fine di allontanare lo spettro della morte considerando la Natura un mezzo per proteggersi, quando non da cui difendersi, ottenendo chiaramente l’effetto opposto.
Il libro propone soluzioni difficilmente praticabili, estreme come poche ma ben pianificate, pur nella loro solo apparente assurdità. Soluzioni che fanno pensare di doverci dirigere lungo strade diverse da quelle che ci hanno portato inutilmente dove siamo oggi.
Entrambi i libri mettono l’accento sull’importanza di un’armonia individuale con la Natura da cercare davvero lontano da dove l’abbiamo trovata fin’ora.
Leggendoli mi sono sentito profondamente d’accordo. Li consiglio a voi e ai vostri figli.
Due regali da farsi e da fare al posto dell’IPad o della PS3, per cambiare, ognuno nel suo piccolo, direzione e andare verso il sole.

venerdì 3 dicembre 2010

venerdì 15 ottobre 2010

Egidio Nicora Fotografo in Genova

Passeggiare dopo una nevicata col cielo ancora grigio di nuvole grasse tra le tombe del cimitero di Staglieno o scansare i cavalli imbizzarriti di un’antica corsa ippica sarda e selvatica non per turisti.
Passare la notte tra i mercanti di pesce del mercato di Piazza Cavour o seguire un gruppo di scalatori di sassi.
Imbarcarsi su una lancia di pescatori di tonni, spiare la vestizione di una sposa o bazzicare intorno a una gozzo in costruzione – tutto con la macchina fotografica al collo – è quello che fa Egidio Nicora, fotografo e filosofo genovese.
Il bello è che poi queste storie per immagini prendono corpo nel fiume di parole che Egidio racconta e che mette per iscritto.
Me lo vedo mentre parla in genovese coi pescatori dandogli soddisfazione che lui ricambia con la sua.
Io Egidio lo conosco abbastanza bene. E’ anche il padrino di mio figlio e qualche anno fa ci siamo incontrati a Buenos Aires.
Per raccontare le sue storie e fare le sue foto a lui non serve andare lontano, ne trova di fantastiche in ogni posto e se le racconta come sa fare lui quasi tutte le foto che ha scattato non serve neppure vederle.
Egidio è un fotografo che fa le foto ma che riuscirebbe a fartele vedere anche solo con le parole.
Lui le foto le vende perché deve camparci, ma secondo me, potrebbe campare scrivendo le sue storie o raccontandole a una platea, come un attore che non deve recitare nessuna parte, se non quello che ha visto e sentito: la verità.

Quella volta a Buenos Aires era sulle tracce di antichi liguri divenuti argentini. Ristoratori e tangueros, bibliotecari e ingegneri, musici e commercianti. Li aveva scovati tutti, in una città di 12 milioni di abitanti lunga più di 100 kilometri che lui girava a piedi. Sì, perché aveva sentito dire che tra i taxisti c’erano dei ladri che ti portavano in una via secondaria, ti davano una fraccata di botte e poi ti derubavano.
Lui non girava con troppi soldi in tasca ma le macchine fotografiche le aveva sempre e non voleva rischiare di farsele rubare.
E poi non parlava una parola di spagnolo pur essendo stato in Argentina per un sacco di tempo, e cercava di esprimersi in dialetto genovese così da farsi riconoscere e la cosa funzionava a meraviglia. I discendenti dei vecchi genovesi li trovava tutti, anche perché non aveva difficoltà a parlare di qualsiasi cosa con chiunque. Era gennaio, l’equivalente del nostro luglio in fatto di temperature, e tutta quella strada a piedi con i sandali gli aveva scavato profonde piaghe nella carne, ma lui non è certo quello che si lamenta.

Egidio è un fotografo che se inizia un discorso che gli interessa –e sono davvero poche le cose che non lo interessano- si scorda di essere lì per fare le foto e se ne va senza averle fatte perché si è portato via i fatti e le parole che a lui bastano. Le foto le farà un’altra volta, quando non si sarà distratto con le parole sue e degli altri.

Per due giorni mi ha portato dai suoi conoscenti argentini che si esprimevano nel dialetto genovese che avevo sentito parlare da mia nonna e che ci chiedevano se a Genova ci fosse ancora questa o quell’altra cosa che noi neppure sapevamo fossero mai esistite.
Abbiamo mangiato le troffie al pesto, i bianchetti e la focaccia, ritrovandoci, uscendo di casa, a la Boca o in una laterale della 9 de Julio.
Ma gli antichi genovesi d’Argentina sono sparsi dappertutto e alcuni da visitare erano a Rosario, solo qualche ora d’auto dalla capitale. In 5 in una Fiat 127 che in Argentina si fabbrica ancora e si chiama ironicamente, Fiat Spazio, il viaggio senz’aria condizionata era stato epico.
Dopo i convenevoli e le foto di rito la Fiat Spazio, parcheggiata al centro di un immenso spiazzo soleggiato era lì ad aspettare i suoi passeggeri per riportarli a Buenos Aires. Egidio che lo racconta è una scena degna di una commedia del teatro dell’ opera. Dopo essersi schiacciati nell’abitacolo per partire, Egidio ha un mancamento per il caldo. Niente niente, non è niente, ho solo un po’ caldo, andiamo pure.
L’ho incontrato la sera che vagava per Palermo con i piedi piagati con la Voigtlaender Bessa a tracolla e alla mia domanda sul perché di tant’aria stravolta iniziò dicendomi: te la ricordi la Fiat 127.....?

http://www.egidionicora.it/ il suo web




giovedì 20 maggio 2010

L' ULTRAFORZA

Ogni alpinista racconta, anche se nessuno glielo chiede, come si è appassionato alla montagna. Io non avevo un nonno guida alpina e neppure un padre o un cugino che lo fosse, ma avevo uno zio un po' speciale.
La cuorisità che poi si tramutò in passione per la montagna credo mi sia piombata addosso in tenera età ascoltando le gesta di mio padre durante la guerra, che non combattè, ma visse da vicino quando era ragazzino sulle montagne del bellunese. Il suo paese si trova lungo la Via Tilman, tanto per intenderci, e non è distante da dove vivo. Il freno lo pose mia madre che diceva che avere uno come Bonatti in famiglia sarebbe stata una vera disgrazia. Quando ebbi l'età, andai sui monti e mi piacque fin da subito.
A casa di mio zio Bruno, quello ritratto accucciato per primo a sinistra, c'era appunto questa foto fissata sotto al vetro di una scrivania stile liberty di colore chiaro e che ricordo come qualcosa di mitico. Infatti mio zio si riprometteva di portarmi su quella cima dove si era immortalato con i suoi amici escursionisti, una volta fossi stato più grande.
La foto è del '64 e io sono nato tre anni prima.
Il cappello alpino, rientrato a casa per miracolo sulla sua testa assieme a qualche scheggia di granata conficcata in un braccio dalle rive del Don e dalla battaglia di Nikolajewka, lo indossava ogni qualvolta c'entrassero delle montagne. E lui, che era genovese che di più non si poteva, provava orgoglio per essere uno che andava in montagna vestito da alpinista di quei tempi.
Lo zio Bruno ne aveva fatte di tutti i colori in vita sua, e stare a sentire i suoi racconti era uno spasso, specie quelli ambientati in montagna, sovente in situazioni tragicomiche. Gli piacevano le auto sportive e siccome dai miei ricordi ne possedette una soltanto, faceva correre le altre come se lo fossero. Io pensavo che la pubblicità di una marca di benzina dell' epoca: "con Api si vola" l'avessero studiata pensando a lui, perchè era il suo motto quando si sedeva alla guida.
Con sua moglie, la mitica zia Terry, come la chiamava affettuosamente lui, costituivano una coppia esilarante e preoccupante: lui guidava come un pazzo e lei non se ne allarmava mai perchè non avendo la patente e solo poche diottrie, ogni manovra, anche la più spericolata, le sembrava normale.
Lo zio Bruno da giovane era stato un atleta.
Aveva partecipato a due Olimpiadi nella nazionale italiana di lotta libera, restando per qualche anno come campione italiano in carica e aveva un fisico che ricordava Johnny Weissmueller, quello di Tarzan, e faceva cose dove occorreva una forza titanica senza sforzo alcuno. Mi diceva che aveva il dono dell' Ultraforza, una sorta di superenergia che poteri ai miei occhi occulti , gli avevano conferito in gioventù.
La cima su cui fu scattata la foto era quella della Tofana di Rozes che oggi è la montagna che sta poco sopra casa mia e che più mi piace. Sulla Tofana ci salgo almeno una decina di volte l'anno anche da solo, per allenarmi, per pensare e farmi venire idee solitamente belle. La Tofana mi vuole bene come fosse mia madre, lo sento.
L'altra montagna dolomitica che lo zio Bruno mi ha fatto amare senza volerlo è il Sas dla Crusc, perché andava in vacanza in un albergo che sta proprio ai suoi piedi e costringeva me e i miei genitori a prendere l'aperitivo durante l'enrosadira (quando in estate, al tramonto le pareti si tingono di rosa) , cosa che oggi va di moda nei locali della Val Badia più "in", ma che negli anni sessanta nessuno ostentava. Quando negli anni '80 feci il servizio militare mi capitò di dovere fare il saluto a una vecchia bandiera sgualcita appartenente al 6° Reggimento Alpini che stava in una teca nell' ufficio del mio Comandante di allora, senza sapere bene il perché. Sulla base in legno del mobile lessi Nikolajewka 26 gennaio 1943 e capii che il saluto se lo meritava ricordando la foto che ritraeva lo zio con altri soldati in Russia sul libro Centomila gavette di ghiaccio. Non si capiva se nella foto fosse lui davvero, ma io ci credevo.
Lo zio Bruno se ne è andato pochi giorni fa, poco dopo la zia Terry, che aveva deciso di lasciare questo mondo sulla strada di casa dopo essersi dedicata alla sua passione settimanale: il cinema.
Saranno sulla loro decappottabile a correre sulle nuvole a tutta velocità e vedranno le Dolomiti da molto più in alto.

sabato 9 gennaio 2010

SERATE A TRENTO IL 7/5 & A MILANO IL 13/5 C/O PATAGONIA STORE

Al Filmfestival della Montagna di TRENTO alle ore 21 del 7 maggio 2010 sono invitato a una serata dedicata alla professione di Guide Alpina assieme ad altri illustri (molto più di me) professionisti. Qui i dettagli.

Dopo la serata, che qui potete vedere in parte, resta la solita impressione positiva che il padre di tutti i filmfestival di montagna sa lasciare. Mi è solo in parte spiaciuto dovere sostenere la fetta più "leggera" della serata che poteva coinvolgere maggiormente il numeroso pubblico presente e approfondire di più i temi toccati.

Come di consueto eccoci all'appuntamento annuale al negozio Patagonia di Milano in Cso. Garibaldi 127 (tel 02-86453590 clicca qui per arrivarci) dove il 13 maggio 2010 alle ore 19 presenterò il nuovo video "LA MONTAGNA E' SOLO LO SFONDO" su oltre 25 anni di attività di guida di montagna in diversi paesi del mondo. Se ne volete un assaggio verbale leggetevi il post precedente: A questa parte densa ne seguirà una più light in cui vedremo Patagonia No Watches No Pads sul bouldering a El Chaltén.
Per l'occasione ai presenti verrà offerto lo sconto del 10% su eventuali acquisti. Ingresso libero.
Infine, quello fotografato qui non sono io bensì mio padre Enrico che uso come logo, visto che sembra una persona seria e affidabile!
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