Già pubblicato su GQ di Novembre 2014
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Guido Grando "Herreria El Chaltén" |
“All'improvviso tutta
l'adrenalina e l'energia che mi avevano condotto fin qui si dissiparono, e io
mi sentii nudo e fragile, come fossi diventato in un istante mio nonno, e mio
padre, e mia madre. E tutta la paura che loro
avevano provato per me, per la mia vita, mi si rovesciò addosso”.
Ecco cosa racconta di aver
provato l'alpinista italo-argentino Rolando Garibotti sulla cima del Cerro
Torre nel gennaio del 2008, dopo aver portato a termine, insieme all'americano
Colin Haley, un'impresa epica: la traversata, passando per le cime, delle montagne che vanno sotto il nome Gruppo del
Torre: Aguja Standhart, Punta Herron, Torre Egger e Cerro Torre. Una traversata
che in pochi, prima di allora, avevano immaginato possibile e che nessuno dopo
Garibotti e Haley ha mai più ripetuto.
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Doerte Pietron e Rolando Garibotti |
Una corsa durata quattro giorni e
quattro notti su difficoltà sempre estreme, lungo pareti verticali ricoperte da
strati di ghiaccio sottile, senza nessun
riparo da un vento che spazza via e dalle scariche che piombano improvvise
dagli immensi funghi di ghiaccio e neve che ricoprono le sommità. E senza via
d'uscita che non sia la cima del Cerro Torre.
E qui basti pensare che, fino
a poche decine di anni fa, il Cerro Torre - sono stati i Ragni di Lecco, nel gennaio
del 1974, la prima cordata ad aver raggiunto la cima del fungo di ghiaccio del
Torre - era considerata la montagna impossibile ed è tuttora ritenuta
tra le più difficili del mondo.
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Cerros Torre e Egger ricoperti di neve dopo una tempesta |
Siamo nel cuore delle Ande
Patagoniche, terre da sempre meta di avventurieri, uomini e donne, che vogliono scalare
montagne, attraversare ghiacciai o
raggiungere luoghi dove non è stato nessuno.
Fino agli inizi del secolo
scorso buona parte di questo territorio era completamente inesplorata, e fu un
italiano, Padre Alberto Maria de Agostini, il primo a realizzare un'
accuratissima carta della Patagonia meridionale che colmò le numerose macchie
bianche delle mappe precedenti. Si era imbarcato come missionario per il Sud
del continente americano, e con la scusa di portare agli indios il Vangelo,
esplorò in lungo e in largo la Cordillera delle Ande australi scalando montagne
alle quali dette il nome (Cerro Pier Giorgio, Cerro Pollone, suo paese natale,
Cerro Cagliero ...) e attraversando i
ghiacciai. “Si può essere un buon salesiano e un buon geografo”, diceva.
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Padre A. De Agostini |
Da
allora nulla del paesaggio intorno al Cerro Torre è cambiato, è soltanto molto
più facile arrivare ai confini di quelle terre remote. Bastano quattro ore di
volo da Buenos Aires a cui vanno aggiunte tre di autobus e così,
lentamente, si ha modo di abituare gli
occhi a quei luoghi dove la natura da spettacolo. Laghi azzurro-verdi che
sembrano mare da tanto sono immensi, fiumi che solcano con impeto valli di
origine glaciale, e steppa steppa steppa finché la strada vira verso Nord e, se
il tempo è bello, contro il cielo si staglia il profilo di montagne bellissime
e spaventose.
La
strada e la civiltà finiscono a El Chaltén, piccolo paese di 1500
abitanti, fondato vent'anni fa
dall'ultima generazione di pionieri, gente che si è costruita la casa con le
proprie mani in un luogo dal clima impietoso ma dove non mancano spazi e
libertà per cominciare una nuova vita.
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Il Fitz Roy da Nord |
A El Chaltén fanno base gli
alpinisti che vengono da ogni dove per scalare le montagne, o per dare il nome
a quelle che ancora non ce l'hanno.
Non sono di quelli che fanno
conferenze stampa prima di partire: non è la gloria che cercano ma la sfida con
se stessi, perché chi si avventura in quelle terre remote, può contare solo
sulle proprie forze e sulla propria determinazione. E' un mondo, il loro, in
cui la competizione resta sullo sfondo, e quello che conta sono cose rare. Tra
queste la ricerca della bellezza: “Le guglie hanno le forme caotiche ed
eleganti di una cattedrale di Gaudì, dice Rolando Garibotti a proposito
del
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La skyline dalla Lagunas Gemelas |
Gruppo del Torre. “Lungo le pareti verticali si avvitano linee e sul
granito dorato arabeschi di neve simili a viticci proiettano ombre blu. La skyline di queste montagne, stupenda e
terribile, ha la geometria più attraente
che io abbia mai visto: bella, ovvia e difficilissima”. “Non ho mai visto una montagna più bella”,
gli fa eco Doerte Pietron, tedesca 33 anni, compagna di Garibotti nella vita,
prima donna al mondo ad aver ripetuto la via aperta dai Ragni di Lecco e unica
donna ad aver scalato il Cerro Torre due volte.
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Incerto Mattino verso il Fitz Roy |
Non si sentono dei
super-eroi, dicono che più che la tecnica, l'allenamento, il talento, la
preparazione, la consapevolezza, conta la motivazione, è quella che spinge a
superare difficoltà così elevate e patimenti tanto duri: il freddo, il vento,
la fatica, le notti insonni, la paura. Garibotti ricorda che durante le lunghe
notti in parete si chiedeva cosa lo aveva spinto fino a quel punto, a dover
correre rischi così alti e lasciare da parte le certezze, l'amore, gli affetti.
“La mattina, però, sapevo di non avere scelta: ciò che stava sopra di me aveva
un’attrazione maggiore di quello che stava sotto”. “Ci vuole anche una buona
dose di fortuna”, aggiunge Doerte. “Trovare buone condizioni. Ma la motivazione
ti spinge a tornare, se la prima volta non hai avuto fortuna. Anche la paura è
uno stimolo, ma delle volte ti fa tornare indietro, e magari ti salva la vita”.
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Visuale aerea del massiccio Torre-Fitz Roy |
Con la traversata del Gruppo del Torre del
2008 sembra caduto anche l'ultimo tabù, dopo la prima invernale, la prima
solitaria, la prima femminile... “L'epoca della conquista è passata, dice
Garibotti, ma ogni nuova generazione definisce i “pali della porta”. La porta
si fa sempre più stretta e più difficile sarà fare gol, ma c'è ancora
tantissimo da tentare, il futuro va verso l'arrampica libera: due persone, una
corda, nessun ricorso all'artificiale”.
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Scalando un un "tubo" nel ghiaccio del Cerro Torre |
Molti dei giovani alpinisti
che arrivano a El Chaltén vanno a casa di Rolando e Doerte per chiedere
consigli, guardare le carte, consultare le previsioni del tempo, capire se si
può contare su una brecha, una finestra di bel tempo, in modo da essere
al momento giusto nel posto giusto, perché il bel tempo difficilmente dura più
di due giorni, e questa variabile alza a dismisura il livello della difficoltà e
del rischio. E anche perché ci sia qualcuno che sappia entro quando, al
massimo, dovrebbero fare ritorno -il calcolo è presto fatto dal momento che El
Chalten è l'ultimo punto dove si può fare rifornimento e da lì si parte a piedi
con tutto il carico sulle spalle.
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Bosco di faggi australi (nothofagus antartica) |
C'è anche un'altra dimensione
in quei luoghi, quando non si ha l'obiettivo di scalare montagne. Gli alpinisti
amanti dell'avventura vera, quella che non sai cosa c'è dietro l'angolo,
possono fare la Vuelta del Torre, un percorso dal sapore polare attraverso lo
Hielo Continental Sur e intorno al Gruppo del Torre e del Fitz Roy, che
richiede più che altro grandi capacità di adattarsi all'isolamento e a
condizioni ambientali che possono esser molto, molto ostili. “Ma laggiù ogni
sforzo sarà ripagato semplicemente lasciando vagare il cuore in un paesaggio solenne e
misterioso, abitato dai contrasti più sorprendenti e dalle più straordinarie
manifestazioni del bello. E quello che si prova, alla fine, è un grande senso
di libertà”, parola di Marcello
Cominetti, Guida alpina
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Lucco, Cominetti e Salvaterra e sullo sfondo il gruppo del Torre |
e alpinista che quei posti li frequenta da più di
trent'anni. Allora El Chaltén non esisteva, c'era solo una casa con il tetto
giallo e un gaucho, Don Rodolfo Guerra,
che c'è ancora ed è l'unico vecchio del paese. “Era tutto più complicato
dal punto di vista logistico ma c'erano anche molte meno regole e più libertà
d'azione. Se uno arrivava con dei chiodi, un'accetta, una sega e un martello,
si poteva costruire una casa”.
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Cominetti e Sandro Pansini sul Fitz Roy 1992 |
Marcello Cominetti è stata la prima Guida a
portare clienti a scalare le grandi montagne, con uno di loro ha raggiunto nel
1992 la cima del Fitz Roy, ma se gli chiedete come ha fatto vi risponderà che è
stato fortunato - e con questo intende dire che ha avuto tempo buono.
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Lucco e Salvaterra, Via Californiana al Fitz Roy |
Ora è appena cominciata
l'estate nelle terre australi e poche settimane fa (il 6 ottobre) già una prima cordata ha
scalato la parete Ovest del Cerro Torre e raggiunto la cima: erano gli italiani
Ermanno Salvaterra (autore della prima invernale sul Torre e di numerose altre
aperture) Thomas Franchini e Nicola Binelli.
Mentre l'ultima impresa che
forse si può paragonare per straordinarietà a quella compiuta da Garibotti e
Haley nel 2008 – se pure da queste parti ogni salita può considerarsi
straordinaria - è stata la traversata del
gruppo del Fitz Roy compiuta in tre giorni nella scorsa stagione da due
fortissimi climbers americani poco più che ventenni: Alex Honnold e Tommy
Caldwell. “E' stato bello - è tutto quanto hanno detto ai primi che li hanno
visti tornare - ma ora siamo un po' stanchi”.
E sono andati in paese a
mangiarsi una pizza.
Marta Trucco
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Arrampicata sul Paredòn sopra El Chaltén. Sullo sfondo il Fitz Roy |
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E ci tocca pure farel'autostop... |
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L'autrice Marta Trucco sull'Aguglia
di Goloritzè in Sardegna
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