giovedì 8 ottobre 2020

LA PARETE CHE C'E'

 

Considerazioni a ruota libera su ciò che resta dello Sci Estremo

Chamonix 1987, De Benedetti,
 Vallencant e Boivin

Non credo che le cose succedano per caso. C’è sempre un ordine in ciò che accade anche se indipendente dalla volontà di chi lo mette in atto. E questo vale anche per le persone disordinate.

Pochi giorni dopo avere incontrato una persona a casa di amici, che poi svelerò chi è ma anticipo che si tratta di uno sciatore, mi sono imbattuto in un vecchio filmato di sci estremo girato sul Monte Bianco da Stefano De Benedetti negli anni ’80. Nel 1985 per essere precisi.

Come se non bastasse, ieri l’altro ho ricevuto una email da uno sciatore di Seattle che avevo incontrato in Patagonia nel 2002 in cui mi diceva che aveva scoperto che Stefano De Benedetti, il suo “piccolo superman” preferito, era mio amico, o viceversa, non ricordo, ma non importa. Io e Stefano siamo amici da una vita, quello si.

Stefano De Benedetti 1978

Ho virgolettato il “piccolo superman” perché nel film-documentario Steep, sullo sci libero, di Mark Obenhaus, Stefano De Benedetti viene intervistato e dice candidamente che nei 10 anni in cui ha realizzato un grande numero di prime discese estreme (allora si diceva così) si sentiva proprio come un piccolo Superman al quale tutto era concesso. Non perdetevi il video: https://www.youtube.com/watch?v=kWfmOz44vPU

 Io che in quei 10 anni ho incrociato la mia traccia con la sua un po’ di volte, posso assicurare che è vero che Stefano si sentiva così, ma è anche vero che non era un improvvisato, ma semmai uno scrupolosissimo studioso di pendii innevati. Indubbiamente sapeva fare girare gli sci un po’ ovunque, anche se era meno teatrale dei suoi contemporanei occidentali: Vallencant e Boivin.
Casa sua a Courmayeur, in quegli anni, era un ritrovo di stelle dell’alpinismo, ma anche di gente normale, semplici appassionati che cercavano un letto per dormire una notte o farsi una vacanza a scrocco di più giorni.

Tofana di Mezzo par. ovest.
 Ph. A. Kostner


 La prova è che un pomeriggio piovoso ci trovavamo in diversi buttati tra divani e pavimento a fantasticare su pareti e couloirs mentre Stefano era sceso in paese. Il telefono squillò.

Renato Da Pozzo (noto alpinista sperimentale lecchese) rispose e dall’altro capo della cornetta un tale, che parlava francese, diceva di essere Jean Marc Boivin. Ragazzi!, urlò Renato, qui c’è uno che dice di essere Boivin!
Boivin ai tempi era davvero una star che appariva in ogni tipo di pubblicità, dagli sci ai superalcolici e dalle auto sportive alla sua ditta di attrezzature JMB; uno che, quanto a popolarità e rilevanza tecnica in alpinismo e sci estremo, poteva, in un assurdo quanto impossibile paragone, pisciare letteralmente in testa a molti "astri" odierni. Diciamo che era famoso quanto Messner ma era molto più anticonvenzionale - e quindi più figo.

Renato Da Pozzo.
Ph. F.Mariani

 Trovarsi al telefono con lui sembrava uno scherzo.  Infatti Renato rispose: Essì e je suis Catrine Deneuve, e scoppiamo tutti a ridere con lui nel salotto. Quello dall’altra parte si incazzò da morire e in altra occasione disse a Stefano che aveva degli amici deficienti.

Durante il servizio militare a Courmayeur, Stefano stava girando il suo film: La Parete che non c’è. (Qui il film completo). Proprio il film  di cui parlavo all’inizio e che ho riguardato dopo più di trent’anni. In quel periodo ero da quelle parti anch’io e aiutai un minimo Stefano e il regista Michele Radici tanto da meritarmi il nome nei titoli di coda (sono certo che Stefano lo ha messo più per amicizia che per mio merito reale).

JM Boivin e sua moglie Francoise 1984


Detto ciò, riguardando il film, sono tornato con la mente e il cuore a quegli anni in cui credevamo che l’alpinismo fosse la nostra unica ragione di vita. Anni in cui si sacrificavano con noncuranza relazioni sentimentali e comunque umane d’altro tipo, per dedicarci al mondo delle cime. In breve: quando il sacro fuoco ti ardeva dentro.

Stefano, Via Austriaca, Les Courtes
Nel film c’è una grandissima dose di introspezione da parte di Stefano, che è uno dei due protagonisti assieme a Giorgio Passino, che sicuramente non agiva spinto da motivazioni tanto profonde come quelle del Debe (così a Genova chiamiamo De Benedetti ancora oggi), ma i due si complementavano. Il cittadino intellettuale e tormentato e il montanaro, un dualismo classico della storia dell’alpinismo che ha dato grandi frutti. Stefano che parla di libertà e modi di esprimerla e Giorgio che quasi non si spiega perché di tanti fronzoli mentali e agisce istintivamente. Sicuramente l’origine cittadina di De Benedetti contribuiva ad alimentare un sentimento di libertà agognata che nel montanaro, nato e cresciuto nei grandi spazi, non c’è.

Infatti un pomeriggio dei primi anni ottanta ci trovammo con Stefano seduti su un tronco nei pressi del Gias delle Mosche in Val Gesso nel cuneese dopo, se ben ricordo, aver sciato il Canalone di Lourusa all’Argentera, e lui mi parlava dei libri di Castaneda e non so più come arrivammo a parlare di libertà. Stefano ai miei occhi fantasticava costantemente e,  quando mi disse che se volevo vivere di alpinismo avrei dovuto fare la guida alpina, presi questa sua frase come tutte le altre, ovvero come il pensiero di un artista che basava ogni sua uscita su una fantasia che probabilmente io pure avevo ma non lo sapevo.

Giorgio Passino oggi


Passarono pochi giorni e dopo una via sul Corno Stella con un altro amico genovese, Francesco Leardi, pensai fermamente in un momento che non avrei fatto la vita che mi si prospettava, di quelle con il posto fisso in un’azienda come stava succedendo a tutti i miei amici, ma avrei fatto altro. 

Piz Boè 1988. Ph S.Pansini
La guida alpina? Neanche sapevo bene cosa fosse. Sapevo, perché lo dicevano tutti, che era un mestiere con cui non si campava e questo probabilmente fu l’elemento che più mi intrigava e quindi pochi mesi dopo mi presentai alle selezioni a Bormio e quando le superai senza il minimo problema mi toccò fare il relativo corso e diventare guida alpina sul serio. A quel punto dovevo camparci! E così fu. 

Chissà cos’avrei fatto nella vita se non fosse stato per quel pomeriggio al Gias delle Mosche con Stefano.

Lo sci fuori dalle piste (cioè quello che io chiamo "sci"), si evolse o comunque cambiò nei vent'anni che seguirono i tempi della Parete che non c’è. Il ripido divenne meno ripido, anche se la forza di gravità restò inesorabilmente la stessa, ma c’erano più sciatori che disponendo di maggiori informazioni, scendevano pendii e canali che fino a pochi anni prima erano appannaggio di pochi specialisti. Io lo notavo perché nel frattempo mi ero trasferito nelle Dolomiti e con Andy Kostner ce ne andavamo a ripetere le discese di un certo Heini Holzer e ne facevamo anche qualcuna di sicuramente nuova. Andy è uno sciatore con una sensibilità per la neve come ne ho visti pochi e se avesse voluto avrebbe potuto fare la star al pari di molti nomi noti, ma non era minimamente interessato alla popolarità, tanto che una volta quasi mi sgridò perché avevo ceduto a una rivista una diapositiva con lui che sciava.

Andreas Kostner e me, Sas Pordoi 2007
Ph. A.Pescosta

Nelle Dolomiti c’erano il fassano Tone Valeruz e il gardenese Mauro Bernardi che coltivavano la passione per il ripido, ma l’illuminazione mi giunse quando a Corvara vidi parcheggiata una Toyota Land Cruiser station wagon rosa con una scritta bianca sulla fiancata: Stages Vallençant. Appena vidi entrarvi l’autista mi precipitai da lui: era Fred Bourbousson che assomigliava a Edoardo Bennato, uno dei miei cantautori preferiti dell’epoca e di cui so a memoria ancora oggi tutte le canzoni con chitarra e armonica. A parte questa somiglianza, che è solo un pretesto per parlare di musica, ci fummo simpatici da subito perché ci piaceva sparare cazzate. Io avevo frequentato un po’ l’ambiente di Chamonix in precedenza ma ero giovane e ne sapevo fino a un certo punto, e  quando Fred mi chiese se volevo lavorare con loro perché cercavano qualcuno che conoscesse le Dolomiti, mi si gelò il sangue nelle vene! Nei giorni seguenti, come se niente fosse, mi ritrovai a fare da guida a un gruppo di ottimi sciatori (erano i clienti, specifico) assieme alle guide francesi Bubù (soprannome di Bourbousson) e Eric Decamp.

P.Vallencant 1982

Inserisco qui di seguito un commento sullo sci estremo che ho scritto nel blog di Alessandro Gogna (qui l’articolo completo https://gognablog.sherpa-gate.com/dallo-sci-estremo-allo-sci-ripido/ ) qualche anno fa:

[…]Concordo pure con il fastidio del becerume dammilcinque, sefie, figata, che potremo usare per catalogare (si, proprio catalogare!) quel tipo di sciatore che affronta un pendio ripido come una corsa nel parco. Per semplicità e praticità, costoro possono diventare i… DSF.

Stabilito ciò, non nego che molti DSF mi danno da mangiare perché faccio la guida e quindi li conosco assai, credo che l’estinzione dello sci estremo sia perlopiù dovuta al fatto che a un certo punto ci si è accorti che tanti pendii potevano essere sciati con neve fredda anziché primaverile.
Premetto che io i DFS cerco sempre di redimerli, spiegargli qualcosa anche quando vogliono correre alla successiva scarica adrenalinica da postare nel mare di merda del web e cose così.

Val Badia, con il mio sfavillante completo Degré7
con un più sobriamente vestito Enrico Baccanti

I rischi ci sono sempre. Con neve trasformata (qui a oriente si chiama Firn) sciare risulta più facile perché il manto non cede e curvare assomiglia al farlo su una pista ben battuta. In caso di caduta le possibilità di arresto anche su pendenze di 35° sono molto remote, figuriamoci oltre.

Su nevi fredde, polverose e/o comunque dal manto cedevole (lo sci risulta spesso muoversi all’interno del manto nevoso, ricoperto da quest’ultimo), curvare risulta più faticoso ed esige maggiore tecnica, ma in caso di caduta arrestarsi è più probabile.

Con il completo Degre7

Il rischio di valanga è certamente maggiore, anche se di solito (sottolineo “di solito” cioè escludendo il “sempre”) oltre i 45° la neve si accumula al suolo in misura minore rispetto a pendenze inferiori e il pendio “scarica” durante la nevicata stessa. E’ pura teoria, perché la valutazione va fatta al momento, ovviamente, ma volevo così arrivare a chiederci quale situazione risulta più rischiosa?

G.Erlacher e A.Kostner, Sassongher 1986
E’ anche vero che gli sci sciancrati di oggi facilitano la curva su nevi cedevoli ma sul ripido con neve dura (quella che si cercava nello sci estremo perché si saliva pure a piedi coi ramponi aspettando poi che mollasse quel tantino da poterci sciare più agevolmente), quando toccano solo in punta e in coda lasciando sotto al piede un vuoto preoccupante, fanno paura e si sente immediatamente il bisogno di volere appoggiare quella parte di sci a qualcosa. Per questo anche si ricerca la neve più fredda e cedevole. Sto andando a ruota libera, lo so.


Nelle Dolomiti, dove i couloirs ripidi abbondano, ci sono discese di pendenza compresa tra i 50° e i quasi 60° che non appena nevica vengono scesi da frotte di DSF e raramente ci sono incidenti. Ma ogni tanto ci sono. Come quello di un’amica maestra di sci che precipitò dal canale Joèl al Pordoi (per fortuna senza accopparsi) pensando che fosse come una pista nera (!), mentre suddetto canale è rivolto a sud e presenta spesso condizioni di neve tutt’altro che facili, con tratti ghiacciati dovuti ad un andamento sinuoso… Ebbene, vista la facile raggiungibilità favorita da una funivia e 10 min. a piedi (non servono neppure le pelli), questo canale a volte è affollatissimo e se cadi è facile morire, ma tant’è.

Corvara 1984 Monosci & giacca da Cowboy al traino
di motoslitta pilotata da A.Kostner. Ph.B.Sparer

A nord dello stesso meraviglioso Sass Pordoi troviamo il celeberrimo canale Holzer che ha raggiungibilità ancor più comoda. Una paretina mista di rocce e ghiaccio di cascata obbliga a una calata a metà canale-spit in loco-. Raramente la neve ricopre questo salto in modo da poterlo sciare, ma ogni tanto accade. Negli anni ’80 ricordo che veniva sceso da pochi “assi” locali come Mauro Bernardi, Tone Valeruz, Bruno Pederiva, Tita Weiss, Hermann Comploi e A.K (poi vi dirò quasi chi è), mentre oggi devi stare attento a non scontrarti mentre curvi con DSF vari, guide con clienti, e pistaioli che hanno sbagliato strada credendo che il Dolomiti Superski ricopra ogni luogo innevato delle Dolomiti, appunto. Incidenti? Pochissimi se si considera l’affollamento. Neve spesso polverosa e a gobbe dopo le 11! Pendenza fino a 50°.

Tanto per “tirare un po’ d’acqua” a oriente (anche se posso vantare nel mio palmarés varie discese del Lourusa, Nord del Monviso, Monte Granero, Enchastraie, Tour Ronde nord e Gervasutti, Aig. du Midi, Pubelle, Les Courtes n-e, alcune delle quali con l’allora mio mentore e soprattutto amico Stefano De Benedetti, lo dico per sentirmi anch’io un  po’ occidentale, che caspiterina), vi dirò che negli anni 70-80 c’era un ragazzo di Corvara di nome A.K che ripeteva subito le discese di Holzer aggiungendocene qualcuna di sua. La sua riluttanza per la popolarità mi impedisce di citarne il nome completo ma sono orgoglioso di averci sciato assieme moltissimo e di avere imparato da lui tante cose. Oggi, alla soglia dei 60 anni -siamo coetanei- mi chiede se ogni tanto gli faccio da guida, io accetto ovviamente e rido. La discesa la sceglie sempre lui e non di rado si tratta ancora di una prima. La studia in elicottero perché è anche un provetto pilota. Mi dice di portare la corda e qualche chiodo che poi non usiamo mai e… va avanti sempre lui e io lo seguo come un cane. Ci divertiamo anche quando rischiamo quasi di ammazzarci. Indimenticabile una discesa dal Piz Boè con A.K e De Benedetti primi anni ’80. Ero stupidamente fiero di aver congiunto anche se per poco l’occidente con le Dolomiti, come un Carlo Magno sciante de noiantri. E mi perdoni il Prof. Daidola.

Telemark anni '80 in Val Badia. Ph. L.Kostner

Negli anni ’80 lavorai un po’ per gli Stage Vallençant accompagnando nelle Dolomiti dei loro clienti con anche qualche loro guida. Un giorno con Frederick Bourbousson detto Bubù e Eric Decamp guidammo 9 sciatori (dei DSF in erba ma bravi) giù dal canale Nord di Forcella Staunies al Cristallo con una neve crostosa che ci sarebbe voluta una motosega per aprirci un varco. Confesso che mi cagai sotto dalla paura che qualcuno ci volasse giù ma sembravano tutti tranquilli e la discesa risultò persino una bella gita. Il giorno prima eravamo saliti e scesi dal Sassongher per fare la Val Scura con gli stessi clienti e gli scarponi da pista ai piedi (avete presente le suole di plastica?!) e fu lì che mi convinsi, da giovane aspirante guida, che qualcosa stava cambiando.

Io avevo ai piedi i S.Marco Condor 101 che il buon Crovella vedo che sfoggia pure lui con anche gli ottimi Dynastar Vertical. Che ricordi!

Telemark anni '80 in Val Badia. Ph. L.Kostner

Lo stesso tipo di discese con Stefano qualche stagione prima le affrontavamo con religiosità e poco dopo, grazie a quei francesi scavezzacollo vestiti di rosa-viola e giallo, sembrava che tutto fosse cambiato e sdoganato. Fu un flash (per dirla in slang argentino) e da allora ho guidato decine di cercatori di ripido, ma anche se potrebbe sembrare il contrario, mi sono sempre mosso coi piedi di piombo rischiando solo il giusto e mai oltre. Sarà pure andata di culo, lo ammetto, ma per fare la guida sul ripido oggi la cosa più difficile è scoraggiare dei DSF dal voler fare certe cose ridimensionandoli a più miti pendenze e condizioni. Infatti, la guida serve a questo.

Forse ho fatto un po’ di casino (non sono un “ricercatore” alla Crovella anche se per quel tipo di personaggi ho sempre avuto grande ammirazione), ma concludo con un aneddoto che sembrerà superficiale solo a chi non saprà leggere oltre.

Stefano De Benedetti, Milano 2018
Visto che i francesi che venivano in Dolomiti sfoggiavano le prime giacche Degré7 e Francital molto variopinte, al Cristallo quella volta mi presentai con una giacca da cowboy con tanto di frange in pelle. I Dynastar Omeglass da 203 cm già li avevo. Per la stagione successiva dotarono pure  me di un completo Degré7 dai colori impronunciabili, che oggi i miei figli si contendono il giorno del Vintage Party sulle piste intorno a casa!


Crovella non inorridire ma: It’s only rock and roll, but I like it.

Detto ciò, poche settimane fa ho incontrato a Gressoney a casa di Andrea Gallo,  Luca Rolli (è lui lo sciatore di cui scrivevo all’inizio)

Rolli, Civra, Capozzi, Herry dopo la Blanche

e gli ho fatto subito i complimenti per avere fatto la prima ripetizione della Parete che non c’è dopo 29 anni.  Va detto che era con Francesco Civra, Davide Capozzi e Julien Herry, questi ultimi due in snowboard. E comunque per fare questa discesa hanno aspettato le condizioni buone per molto tempo. Non credo che si possa sciare la est della Blanche con la neve polverosa fonda senza rischiare la pelle molto più di quello che già si rischia. Potrei sicuramente sbagliarmi in questa mia affermazione ma ognuno è libero di rischiare quanto desidera, per fortuna.
Siccome, quando ci siamo visti con Luca, eravamo nella valle del Monte Rosa mi ha anche detto che pensa che ci siano ancora delle linee nuove da sciare e gli piacerebbe passare lì del tempo per farne qualcuna. 

Segno che la Parete c’è!

Luca Rolli



Da vedere, anche: il docu-Film La Parete dei Sogni che mette a confronto la discesa dall’Aiguille Blanche (parete Est) del 1984 di De Benedetti, con quella del 2013 di Rolli, Civra, Capozzi e Herry.