Mi sembra riduttivo congedarmi da Jim Bridwell con un racconto superficiale che avevo scritto per un magazine locale, ma se penso a quei giorni sulle Dolomiti, ricordo tanto divertimento e follia.
Poi, The Bird, cazzo, te ne sei volato via all'improvviso e chi se la sente di scrivere qualcosa di circostanza? Beccatevi quindi queste righe.
CLIFFHANGER
Valanghe, aneddoti e paura sulle Dolomiti prestate a Hollywood per le scene più spettacolari di un ormai vecchio e patetico film.
Alle nostre spalle, la turbina del Bell 205 ronzava
rassicurante nell’abitacolo mentre lo Huey imboccava la
Val Mesdì avvolto dalle nuvole con noi e
mezza tonnellata di attrezzatura cinematografica dentro.
Praticamente solo io, guida di montagna del posto, sapevo
dove eravamo e Marc Wolff, il navigato pilota inglese ai comandi, si fidava di
me in maniera preoccupante.
Il vecchio elicottero di scena e trasporto su cui ci
trovavamo era un cigolante catorcio reduce dalla guerra del Vietnam e si era
beccato diverse raffiche di mitragliatrice, tanto che i sei fori mal stuccati
sul montante destro del portellone facevano spesso da sfondo alle foto ricordo
che in molti di noi si facevano.
Il velivolo, assieme a un suo gemello, era stato noleggiato nel
1993 presso una ditta tedesca dalla Carolco Pictures, la casa di produzione
americana a cui faceva capo una variegata troupe, e di cui anch’io facevo
rocambolescamente parte, che girava Cliffhanger, un film con Sylvester Stallone
come protagonista nelle vesti di un improbabile alpinista alle prese con dei
criminali.
Il regista Renny Harlin dirigeva quello che poi risultò
nelle sale come un polpettone
avventuroso in salsa hollywoodiana che per gli alpinisti non riusciva ad essere
neppure un film comico, ricopiando nella trama una storia realmente accaduta
negli anni ’70.
Sui monti di Yosemite negli Usa precipitò un piccolo aereo carico
di droga e dollari. Era inverno e alcuni scalatori hippies della zona
scoprirono per primi i rottami e…vissero qualche anno di rendita. Anni dopo
uscì anche un libro che raccontava la storia che nella traduzione italiana si
chiamava Angeli di luce.
Per tirarci fuori un colossal la regia si inventò una storia
gonfiata da agenti dell’ FBI corrotti, eroi del soccorso… di montagna (stavo
per dire “alpino” ma nelle montagne rocciose dove il film è ambientato,
bisognerebbe dire “roccioso” e non suonerebbe eroico abbastanza), cattivi senza
scrupoli e donnette innamorate che precipitano dalle rocce e quelle cose lì,
tanto care agli estimatori del cinepanettone in versione alpinistica.
Per realizzare il film la produzione miliardaria aveva
cercato il fior fiore dell’alpinismo (cosa ci facessi io, modesta guida alpina
da Corvara, quindi non l’ho mai saputo) e quel giorno delle nuvole in Val Mesdì
sui tre elicotteri diretti alla cima dell’Antersass c’erano assieme al
sottoscritto: Jim Bridwell “the bird”, se mettete il suo nome su Google non vi
basterà una settimana per conoscere le sue avventure leggendarie, David
Brashears, che girerà nel ’96 il suo celeberrimo Everest portandosi sul tetto
del mondo una cinepresa Imax 3D, Robert Shauer, himalaysta da primato, Mike
Weiss mitico alpinista patagonico prestato al cinema di Hollywood, Paul Sibley
e Bob McDougal, inventori -tra gli altri- di una certa marca californiana detta
Patagonia, Ron Kauk il nero navajo eroe di Moonlight Lightning e altre storie
incredibili, David Schultz recordman de El Capitan e Wolfgang Gullich senza
dubbio lo scalatore ad oggi più bravo e poliedrico mai esistito!
Nessuno di loro, quel giorno di fine marzo, era mai stato
dove ci trovavamo e la visibilità vicina allo zero non metteva allegria in
nessuno, me compreso, nonostante avessi percorso quella valle decine e decine
di volte e solo per questo posammo fortunosamente ad un certo punto i pattini
sulla cima che cercavamo.
Un’enorme cornice di neve si protendeva verso il versante
settentrionale sporgendo per una decina di metri sulla parte superiore della
Val Mesdì. Era quello che ci serviva perché dovevamo riprendere una valanga
mentre precipitava da ogni angolazione, compreso il suo interno, con due
cineprese infilate in altrettanti robusti cassoni d’acciaio muniti di oblò
ancorati sulla parete da dove la valanga sarebbe precipitata.
Come farla cadere? Erano venuti con noi due esperti di
esplosivi della Val Badia che ci aveva mandato Heinz Kostner, allora sindaco di
Corvara e membro del soccorso alpino, con cui avevamo individuato giorni prima
il luogo adatto durante una ricognizione in elicottero durata ore. Infatti
questo era una delle mie mansioni: individuare “posti” adatti che in gergo si
chiamano locations.
Perplessi, i due “fuochini” osservavano il nostro gruppo di
gente un po’ fuori di testa (avete mai visto dal di dentro una troupe
cinematografica?) che tra un “wow” e un “killer” (=figata in slang
californiano) si aggirava pericolosamente sull’enorme cornice di neve
nell’eccitazione che precede qualcosa di clamoroso.
A me ‘stavolta toccava il ruolo di mediazione e traduzione
tra gli addetti all’esplosivo e i pazzi con le cineprese e altre diavolerie
elettroniche: tralicci, binari, torrette,
cavalletti, batterie, pellicole e computers.
Il tempo era orribile e si prospettava una notte nel locale
invernale del Rifugio Boé, perché gli elicotteri non si fidavano a venirci a riprendere,
e io avevo già detto che con i due fuochini ci saremmo fatti scivolare sul
sedere fino a Colfosco andandocene a casa nostra, sotto gli sguardi sbigottiti
degli yankees che forse si credevano in cima al Denali.
Grazie a un buco tra le nuvole gli elicotteri arrivarono e
il giorno dopo, che il tempo era bello, tornammo lassù per finire il lavoro.
Mentre gli alpinisti posizionavano le ultime cariche
esplosive sulla cima, gli operatori prendevano posizione sotto la guida del
regista e del direttore della fotografia su dei massi a circa metà della Val
Mesdì. Tutto era pronto e via radio si diede il “via” all’esplosione che fu di
potenza eccessiva e provocò un’enorme massa di neve che precipitò verticalmente
per circa 400m lungo la parete nord dell’Antersass. Quando i blocchi di neve
grandi come case toccarono il suolo si levò in aria una nuvola bianca che
avanzava minacciosamente verso di noi, che eravamo una trentina di persone. In
preda al panico e urlando imprecazioni come si sentono nei film di guerra
americani quando gli Zero giapponesi si immolano sul nemico con i loro kamikaze
ai comandi, tutti si misero a correre verso valle per mettersi in salvo. Io
cercavo di urlare che era solo polvere e non c’era nessun pericolo ma ormai la
situazione era fuori controllo e tutti correvano, inciampavano nella neve fonda
e ruzzolavano fino a quando, tutti avvolti dal pulviscolo bianco, si resero
conto che non c’era pericolo e semmai ci saremmo solo un po’ infreddoliti.
L'esplosione sull'Antersass |
Finì tutto in una risata che durò ore!
Le cineprese erano restate in funzione. Buona la prima!
Anche perché una seconda non ci sarebbe potuta essere.
Nel montaggio, assieme ad altre due valanghe girate su una
pista di Ra Valles a Cortina e alle Cinque Torri, la scena sembra apocalittica.
Stallone/Gabe nella stessa si toglie la giacca restando in canottiera per
mettere in bellavista i bicipiti…
La fiction è proprio il bello del cinema e Rambo-Rocky, in
questo caso, la sua apoteosi.