lunedì 19 febbraio 2018

Dedicato a Jim Bridwell

Non vorrei che questo blog venisse scambiato per una serie di necrologi. Prima la Hawley, ora Bridwell... Spero che il prossimo post abbia altro tema.
Mi sembra riduttivo congedarmi da Jim Bridwell con un racconto superficiale che avevo scritto per un magazine locale, ma se penso a quei giorni sulle Dolomiti, ricordo tanto divertimento e follia.
Poi, The Bird, cazzo, te ne sei volato via all'improvviso e chi se la sente di scrivere qualcosa di circostanza? Beccatevi quindi queste righe.


CLIFFHANGER
Valanghe, aneddoti e paura sulle Dolomiti prestate a Hollywood per le scene più spettacolari di un ormai vecchio e patetico film.



Alle nostre spalle, la turbina del Bell 205 ronzava rassicurante nell’abitacolo mentre lo Huey imboccava la Val Mesdì avvolto dalle nuvole con noi e mezza tonnellata di attrezzatura cinematografica dentro.
Praticamente solo io, guida di montagna del posto, sapevo dove eravamo e Marc Wolff, il navigato pilota inglese ai comandi, si fidava di me in maniera preoccupante.
Il vecchio elicottero di scena e trasporto su cui ci trovavamo era un cigolante catorcio reduce dalla guerra del Vietnam e si era beccato diverse raffiche di mitragliatrice, tanto che i sei fori mal stuccati sul montante destro del portellone facevano spesso da sfondo alle foto ricordo che in molti di noi si facevano.
Il velivolo, assieme a un suo gemello, era stato noleggiato nel 1993 presso una ditta tedesca dalla Carolco Pictures, la casa di produzione americana a cui faceva capo una variegata troupe, e di cui anch’io facevo rocambolescamente parte, che girava Cliffhanger, un film con Sylvester Stallone come protagonista nelle vesti di un improbabile alpinista alle prese con dei criminali.
Il regista Renny Harlin dirigeva quello che poi risultò nelle sale come  un polpettone avventuroso in salsa hollywoodiana che per gli alpinisti non riusciva ad essere neppure un film comico, ricopiando nella trama una storia realmente accaduta negli anni ’70.
Sui monti di Yosemite negli Usa precipitò un piccolo aereo carico di droga e dollari. Era inverno e alcuni scalatori hippies della zona scoprirono per primi i rottami e…vissero qualche anno di rendita. Anni dopo uscì anche un libro che raccontava la storia che nella traduzione italiana si chiamava Angeli di luce.
Per tirarci fuori un colossal la regia si inventò una storia gonfiata da agenti dell’ FBI corrotti, eroi del soccorso… di montagna (stavo per dire “alpino” ma nelle montagne rocciose dove il film è ambientato, bisognerebbe dire “roccioso” e non suonerebbe eroico abbastanza), cattivi senza scrupoli e donnette innamorate che precipitano dalle rocce e quelle cose lì, tanto care agli estimatori del cinepanettone in versione alpinistica.
Per realizzare il film la produzione miliardaria aveva cercato il fior fiore dell’alpinismo (cosa ci facessi io, modesta guida alpina da Corvara, quindi non l’ho mai saputo) e quel giorno delle nuvole in Val Mesdì sui tre elicotteri diretti alla cima dell’Antersass c’erano assieme al sottoscritto: Jim Bridwell “the bird”, se mettete il suo nome su Google non vi basterà una settimana per conoscere le sue avventure leggendarie, David Brashears, che girerà nel ’96 il suo celeberrimo Everest portandosi sul tetto del mondo una cinepresa Imax 3D, Robert Shauer, himalaysta da primato, Mike Weiss mitico alpinista patagonico prestato al cinema di Hollywood, Paul Sibley e Bob McDougal, inventori -tra gli altri- di una certa marca californiana detta Patagonia, Ron Kauk il nero navajo eroe di Moonlight Lightning e altre storie incredibili, David Schultz recordman de El Capitan e Wolfgang Gullich senza dubbio lo scalatore ad oggi più bravo e poliedrico mai  esistito!
Nessuno di loro, quel giorno di fine marzo, era mai stato dove ci trovavamo e la visibilità vicina allo zero non metteva allegria in nessuno, me compreso, nonostante avessi percorso quella valle decine e decine di volte e solo per questo posammo fortunosamente ad un certo punto i pattini sulla cima che cercavamo.
Un’enorme cornice di neve si protendeva verso il versante settentrionale sporgendo per una decina di metri sulla parte superiore della Val Mesdì. Era quello che ci serviva perché dovevamo riprendere una valanga mentre precipitava da ogni angolazione, compreso il suo interno, con due cineprese infilate in altrettanti robusti cassoni d’acciaio muniti di oblò ancorati sulla parete da dove la valanga sarebbe precipitata.
Come farla cadere? Erano venuti con noi due esperti di esplosivi della Val Badia che ci aveva mandato Heinz Kostner, allora sindaco di Corvara e membro del soccorso alpino, con cui avevamo individuato giorni prima il luogo adatto durante una ricognizione in elicottero durata ore. Infatti questo era una delle mie mansioni: individuare “posti” adatti che in gergo si chiamano locations.
Perplessi, i due “fuochini” osservavano il nostro gruppo di gente un po’ fuori di testa (avete mai visto dal di dentro una troupe cinematografica?) che tra un “wow” e un “killer” (=figata in slang californiano) si aggirava pericolosamente sull’enorme cornice di neve nell’eccitazione che precede qualcosa di clamoroso.
A me ‘stavolta toccava il ruolo di mediazione e traduzione tra gli addetti all’esplosivo e i pazzi con le cineprese e altre diavolerie elettroniche: tralicci, binari, torrette, cavalletti, batterie, pellicole e computers.
Il tempo era orribile e si prospettava una notte nel locale invernale del Rifugio Boé, perché gli elicotteri non si fidavano a venirci a riprendere, e io avevo già detto che con i due fuochini ci saremmo fatti scivolare sul sedere fino a Colfosco andandocene a casa nostra, sotto gli sguardi sbigottiti degli yankees che forse si credevano in cima al Denali.
Grazie a un buco tra le nuvole gli elicotteri arrivarono e il giorno dopo, che il tempo era bello, tornammo lassù per finire il lavoro.
Mentre gli alpinisti posizionavano le ultime cariche esplosive sulla cima, gli operatori prendevano posizione sotto la guida del regista e del direttore della fotografia su dei massi a circa metà della Val Mesdì. Tutto era pronto e via radio si diede il “via” all’esplosione che fu di potenza eccessiva e provocò un’enorme massa di neve che precipitò verticalmente per circa 400m lungo la parete nord dell’Antersass. Quando i blocchi di neve grandi come case toccarono il suolo si levò in aria una nuvola bianca che avanzava minacciosamente verso di noi, che eravamo una trentina di persone. In preda al panico e urlando imprecazioni come si sentono nei film di guerra americani quando gli Zero giapponesi si immolano sul nemico con i loro kamikaze ai comandi, tutti si misero a correre verso valle per mettersi in salvo. Io cercavo di urlare che era solo polvere e non c’era nessun pericolo ma ormai la situazione era fuori controllo e tutti correvano, inciampavano nella neve fonda e ruzzolavano fino a quando, tutti avvolti dal pulviscolo bianco, si resero conto che non c’era pericolo e semmai ci saremmo solo un po’ infreddoliti.
L'esplosione sull'Antersass
Finì tutto in una risata che durò ore!
Le cineprese erano restate in funzione. Buona la prima! Anche perché una seconda non ci sarebbe potuta essere.
Nel montaggio, assieme ad altre due valanghe girate su una pista di Ra Valles a Cortina e alle Cinque Torri, la scena sembra apocalittica. Stallone/Gabe nella stessa si toglie la giacca restando in canottiera per mettere in bellavista i bicipiti…
La fiction è proprio il bello del cinema e Rambo-Rocky, in questo caso, la sua apoteosi.