sabato 30 gennaio 2016

CROZZON di BRENTA, Via delle Guide, seconda invernale, o: in invernale, o: d'inverno.

Mentre ascolto "Before you accuse me" di Eric Clapton in modalità "loop"  nel mio vecchio stereo, in questa stagione avara di neve e di lavoro (cazzo, faccio la guida!) in cui ho insolitamente un sacco di tempo, penso che in ogni situazione vada trovata una condizione positiva. 
Così qualche giorno fa con il mio "socio" Franz Salvaterra ce ne siamo andati sul Crozzon di Brenta a ripetere la Via delle Guide.
C'abbiamo messo un giorno, mentre i nostri predecessori ce ne avevano messi 8. 
Certo, nel 1969 c'era molta più neve, più freddo e tutte quelle cose lì. Loro partivano non appena la fabbrica gli lasciava il tempo e la motivazione che li spingeva a fare per la prima volta una cosa tanto notevole non era di certo la nostra di fancazzisti con tanto tempo a disposizione.
Il versante settentrionale del Crozzon di Brenta
Ma voglio spezzare una lancia anche a nostro misero favore: ce l'abbiamo messa tutta per correre e non farci sorprendere da un bivacco indesiderato e per farlo abbiamo riposto nell'altro il massimo della fiducia. Non è una cosa da poco, secondo me, perché sapevamo che non ci saremmo fermati finché non sarebbe apparsa la cima, anche se fosse diventato buio. E così è stato ed è stata una bella sensazione, quella di essere una macchina quasi perfetta, lanciata nella concentrazione e nello stupore di vedere alba, giorno, tramonto e notte con la coda dell'occhio, mentre davanti scorrevano appigli bellissimi! Le mani gelate, le bollite alle dita, i piedi induriti nelle scarpette due numeri più grandi e la sete sono nulla in confronto alla felicità.

Tornando alla canzone di Clapton: è un po' la stessa cosa, se ci pensate, MI7-LA-SI-MI7/SI, un giro di blues che più semplice non si può. Eppure io su quel giro di accordi sono stato in grado tutt'al più di ricavarci "Gabibbo Blues" (ah, ah, ah) mentre il vecchio Slowhand c'ha tirato fuori Before you accuse me. Ascoltatela se non la conoscete (godevela!)  e perdonatemi il parallelismo tra musica e alpinismo ma sono due caratteristiche costanti della mia esistenza da cui fortunatamente non posso sottrarmi.


Lascio al mio compagno d'avventura (è il nome giusto) la descrizione, che solo chi avrà curiosità e insonnia potrà leggere.


Ho appena finito di rileggere il racconto di Gianni Rusconi dal libro “Il grande alpinismo invernale”, sulla prima invernale, appunto, alla Via delle Guide sulla nordest del Crozzon di Brenta.
A dire il vero avrei voluto leggerlo prima di partire per il Crozzon, ma nel disordine di casa mia non trovavo il libro, forse sepolto sotto l’attrezzatura che con Marcello (Cominetti, con cui intendevo partire per questa gita)  stavamo frettolosamente preparando. Quindi ora me lo sono goduto di fronte al caminetto a salita compiuta.
Cala la notte, i giorni di gennaio sono cortissimi...
Se devo essere onesto la loro salita invernale  è stata veramente una grande impresa e un'avventura che li ha spinti al limite delle forze, la nostra al paragone è stata una cosa molto meno sofferta e affascinante, pur avendoci regalato momenti indimenticabili legati sicuramente al fascino dell’inverno che restituisce alla montagna la sua staticità assoluta.
A distanza di quasi 50 anni, stride il confronto tra la spedizione “pesante” dei Rusconi e compagni, se raffrontata alla nostra: leggerissima e quasi spensierata, ma non troppo.
Sicuramente noi l’abbiamo affrontata perché le condizioni meteo erano quelle più favorevoli: poca neve in parete, tempo stabile e temperature non estremamente basse. Noi avevamo dalla nostra la possibilità di  partire al momento giusto e la facilità nel metterci d’accordo, essendo solo in due e facendo lo stesso lavoro: le guide disoccupate.
Franz alle jumar
Ma veniamo alla cronaca.
Roberto Chiappa, Gianluigi Lanfranchi (detto Pomela), Antonio Rusconi e Giovanni Rusconi attaccano la grande parete nordest del Crozzon il 7 marzo 1969. E' tutto l'inverno che fanno avanti e indietro da Lecco assediando questa via, nel tentativo più serio partecipano anche Alessandro Gogna con Leo Cerruti, riescono ad arrivare fino alla grande cengia alla base delle placche nere, la parte tecnicamente di grado più elevato. C’è da dire che le difficoltà maggiori si incontrano sui tiri di quarto grado, dove la neve si deposita sugli appigli e nasconde gli appoggi, i pochi chiodi e su cui non sempre è facile decidere se progredire con gli scarponi, se mettere  i ramponi o addirittura le scarpette.
Sulla fascia nera
Per ben 6 giorni (5 bivacchi) i lecchesi combattono con diedri e placche intasate di neve, il termometro talvolta segna -30 gradi, e mi sembra un po’ strano, però.... Non hanno le maniglie jumar e risalgono le corde con i nodi prusik, appesa alle imbragature artigianali insieme ai chiodi da roccia portano una spazzola per pulire la neve dagli appigli! Verso la cima gli cade una sacca con i viveri e si ritrovano in vetta, per fortuna nel ventre materno del bivacco Castiglioni con poco cibo e nel mezzo di una tempesta. Essere lassù in quella scatola di latta è sicuro quanto ritrovarsi in mezzo al mare grosso con una barchetta. Si sopravvive ma bisogna assolutamente togliersi da lì!
Il giorno dopo, tra vento e slavine, impiegano tutte le ore di luce  per traversare dalla vetta del Crozzon a quella della Tosa. Infatti la discesa non è banale neppure d’estate. Qui fanno il settimo bivacco in un buco nella neve, sono allo stremo delle forze, immaginate, senza sacchi da bivacco in Goretex, con le moffole di lana e le giacche di cotone!
Negli ultimi momenti Gianni preso dallo sconforto pensa alla frase di Pierre Mazeaud dopo la tragedia del Freney del 61': “ Il dramma è iniziato e non ce ne siamo accorti”.
Franz laggiù
L'ottavo giorno dopo aver disceso i camini della Cima Tosa abbandonano tutto il materiale, scendono passando nelle vicinanze  del rifugio Pedrotti e, praticamente rotolandosi nella neve, arrivano a Molveno lungo la valle delle Seghe, finalmente in salvo.

Franz lassù

La “nostra” invernale è fortunatamente molto meno sofferta: il 24 gennaio saliamo al rifugio Brentei dalla val Brenta, partiamo da casa mia a Tione dopo un ottimo pranzo e arriviamo al rifugio alle ultime luci. Fino a poco sotto la Malga Brenta Alta praticamente non c'è neve, poi mettiamo le ciaspe.  Anche le temperature sono dalla nostra, fino a un paio di giorni fa a Campiglio la temperatura è scesa fino a -18, ora si è alzata di almeno 10 gradi. La mattina del 25 la sveglia suona  alle tre e mezza. Prima delle sette siamo alla base della parete. Ancora non si vede bene quindi per essere sicuri di non sbagliare l'attacco beviamo il contenuto del thermos da 750cc. e con il fornello sciogliamo della neve mentre aspettiamo la luce. Avevo ripetuto la via diversi anni fa con Luca Leonardi (il gestore del rifugio Brentei) e suo figlio Gabriele, però a dire il vero non ricordo gran ché. Marcello invece non l'ha mai fatta.
Non abbiamo con noi materiale da bivacco quindi la nostra strategia di salita prevede di essere  rapidi, leggeri e audaci: le giornate sono ancora corte.
Lasciate alla base racchette e uno zaino, la nostra attrezzatura prevede: fornello e gas, liofilizzati per cena, barrette e caramelle per la giornata, un thermos, guanti di ricambio, una serie di friends e qualche stopper, dieci rinvii, cordini, secchiello e quattro ghiere, due maniglie jumar, un paio di ramponi di alluminio, uno di acciaio, due piccozze, un paio di scarpette, una vite da ghiaccio di alluminio, una mezza corda da 60 m, un procord da 4 mm da 60 m., uno zaino da 40lt.
Salire e salire (rapidi)
Parto per primo e mi rilasso quando dopo pochi metri troviamo la scritta in rosso “Via delle guide”. Per essere più rapidi abbiamo deciso che il secondo sale a jumar con lo zaino, perlomeno sui tiri più ripidi.  Salgo cinque tiri, bestemmiando a ogni passaggio con i piedi su piccole tacche perché abbiamo portato un paio solo di scarpette, quelle di Marcello che sono un 44,5 e io ho il 42 di scarponi. Se scalassi con le babbucce di Aladino avrei maggior sensibilità ma almeno non serve che mi tolga le scarpe in sosta. Alla base delle placche nere più verticali passa in testa Marcello.
Nella parte bassa della via c'è spesso della neve che però è polvere e si toglie facilmente con le mani, le temperature sono di pochi gradi sotto lo zero e si scala con un po' di freddo alle dita, con qualche “bollita” ma sopportabile. Le placche nere e verticali sono quasi pulite e Marcello sale veloce per sette tiri, facendo acrobazie per passare con le scarpette sulle cenge completamente ghiacciate mentre io “sjumaro” come un indemoniato, alternando grandi sudate a freddo mentre lo assicuro in sosta.
Una cima anche per noi. E pure una casetta!
Alle 17 riusciamo per fortuna a superare la fascia ripida della parete e a intravedere dove passare, mancano ancora circa trecento metri alla cima. Una cascata di ghiaccio immette a un colatoio nero, quindi calzo i ramponi e la scalo con le picche per portarmi sotto la parete terminale. In un attimo è buio pesto e questo tiro di IV non sembra per nulla facile con i ramponi ai piedi. Le soste non si trovano perché coperte dalla neve ma per fortuna qualche chiodo di passaggio emerge dalle tenebre. Manca solo un altro tiro per uscire sui pendii finali, è un traverso con un passo strapiombante dato di IV che a me sembra un 7a! Ansimando riesco a raggiungere la cengia alla fine della corda e attrezzo una sosta piantando la piccozza a mo’ di chiodo nell'unico scoglio di roccia che emerge dalla neve. Marcello salendo a jumar ha il suo bel da fare tra un pendolo e l'altro sul traverso, con la mezza da 8mm che sfrega pericolosamente sulle rocce quando si lascia andare tra un rinvio e il successivo. Io nel frattempo inganno il tempo guardando la piccozza flettersi ritmicamente e puntandomi bene con i piedi nella neve. Quando mi raggiunge la luna fa capolino da Molveno, è piena piena e illumina a giorno noi e il Crozzon. Si vedono le luci di Andalo, il Campanil Basso stretto tra la Brenta Alta e il Campanile Alto sembra vicinissimo e le piste del Grostè hanno stranamente un confortevole richiamo al domestico che ci scalda. 
Un facile pendio ci porta sotto la sorpresina finale, lungo un tiro che sarebbe facilissimo d'estate si è formata una cascata con un tratto verticale. Abbiamo messo via le jumar quindi la seconda piccozza ce l’ ha Marcello.
Fortunatamente un buon friend mi anima e salgo pinzando le colonnine di ghiaccio con la mano sinistra, nella paura che provo mi viene da ridere pensando a quando durante i corsi guida ci facevano fare esercizio scalando con una piccozza sola su cascate belle ripide.
Il giorno dopo, la discesa
Siamo belli cotti e andiamo piano, anche sugli ultimi facili pendii restiamo legati e alle 21.30 finalmente ci abbracciamo in vetta! Il bivacco Castiglioni sembra un hotel a cinque stelle, manca solo la jacuzzi. Il giorno dopo verso le otto e mezza cominciamo la discesa, l'idea iniziale era di traversare lungo la normale fino alla Tosa e poi scendere il canalone Neri ma appena sotto la cima cambiamo idea. Scendiamo in doppia da “Lisa dagli occhi blu”, una bellissima via di misto aperta da Parolari e Tondini che conta parecchi tentativi e poche salite fino in vetta. Non la conosciamo ma con un po' di pazienza troviamo gli ancoraggi e in qualche ora di faticoso recupero del sagolino da 4 mm. arriviamo nella parte finale del canalone Neri, vicino agli zaini e alle odiate ciaspe. Tutte le guide le odiano, è inutile nasconderlo.

Alla Malga Brenta Alta facciamo un'incursione “rubando” una zuppa di fagioli e un buon caffè, abbandonati da qualche anima pia, e alla  macchina, nel bagagliaio ci aspettano due birre artigianali ghiacciate “Rethia” lasciate lì per un brindisi che ora non si fa più aspettare.

Franz Salvaterra 27 gennaio 2016

Nel canalone Neri, quasi alla base. E poi a casa.


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