Sembrerà assurdo ma dopo una vita passata a girare per il mondo inseguendo quasi sempre i miei sogni, mi sentivo appagato.
Quando si fa la vita che si ama, ci si trasforma in maledetti viziati e si diventa assai esigenti sui posti da visitare e sulla qualità di quello che si fa. Non ci si accontenta di partire e basta, come succede a molte persone che purtroppo vivono ingabbiate.
Mi ritrovavo sulle pendici del Fitz Roy in giornate di sole a chiedermi se era sensato stare ancora lassù mentre i miei genitori invecchiavano e chissà per quanto tempo ancora avrei potuto goderne la compagnia. Oppure chiedendomi se i miei figli avrebbero richiesto la mia presenza in quei periodi o se mia moglie non si stufasse improvvisamente dei miei isterismi legati al dovermi allenare sulla roccia o all'assenza prolungata, e quindi di me. Mica sono pensieri da poco e l'alpinismo impegnativo che si fa in Patagonia non ammette dolcezze.
Così, preso da questi pensieri, anticipavo il volo di rientro piombando a casa come un regalo natalizio -tra l'altro il periodo spesso coincideva con le festività di fine anno- rendendomi immediatamente conto che i miei genitori stavano bene anche senza di me, che i miei figli erano presi dalle loro cose e che mia moglie era forse l'unica felice di vedermi vivo risparmiato dai sassi e le valanghe.
Perché lei sa.
Erano passati i tempi dei biglietti aerei aperti che avevano solo la data di partenza e una durata di sei mesi e le permanenze da Ottobre a Gennaio in terra australe. Negli ultimi anni avevo deciso di rendere vero uno dei sogni della mia vita: costruirmi una casa come dico io e quanto più possibile con le mie mani. Ma perché scrivo queste cose? Magari annoio chi le leggerà e comunque non mi va di parlare dei fatti miei, ma l'alpinismo, stile di vita in cui credo profondamente e che mi ha solo dato problemi di relazione, tolte molte soddisfazioni, deve difendere le sue ragioni assurde d'esistenza. Per questo scrivo: per tenerlo vivo.
Max, Markino e il sottoscritto mentre"reclamizziamo" la propoli Bu Bees di un amico che la produce |
Poi è arrivato Franz (Salvaterra, il mio socio) che aveva una cliente tuttoterreno. Il gioco era fatto. C'erano tutti gli ingredienti per divertirsi, che è la cosa più importante. Al diavolo cime e maltempo! L'alpinismo è una cosa complessa e chi crede che si riduca a scalare montagne, si sbaglia.
Ah, dimenticavo di aggiungere che Max è un musicista rinnegato ma ha pur sempre le sette note nell'anima.
Reinhold Messner ci ha scovati mentre suonavamo un in bar quando era in zona a fare un documentario sull'infinita storia del Cerro Torre.
Ha pensato che inserire una scena in cui gli alpinisti trattenuti dal maltempo in paese potessero comunque significare una rappresentazione della verità locale, fosse una bella cosa. Nella sua immaginazione, il Re degli ottomila vedeva Cesare Maestri "perso" sul Cerro Torre nel 1959 come l'Andrea di De André, e, visto che stavamo suonando una canzone di Battisti, ci ha chiesto se conoscevamo appunto "Andrea". Chiedere a un genovese che strimpella due accordi sulla chitarra se conosce questa canzone è superfluo, ma tant'è...
Gliel'abbiamo suonata, cantata e ci siamo anche bevuti una buona bottiglia di Malbec in compagnia chiacchierando sulla vita.
Poi siamo partiti per una cima facile nel vento, il Cerro Electrico, tanto per muoverci. Abbiamo giocato d'azzardo ma non troppo salendo a Piedra Negra con le previsioni meteo di Rolo Garibotti che davano due giorni di bel tempo intervallati da uno di malclima furioso.
Abbiamo infilato due vie bellissime con un giorno di riposo nel mezzo, quello di maltempo, mentre tutti gli alpinisti del mondo arrivati a El Chaltén se ne sono rimasti in paese perché vociferava che il tempo sarebbe rimasto orribile. Le nostre previsioni erano eccellenti, avendo pure azzeccato l'ora in cui avrebbe smesso di nevicare la mattina del secondo giorno di maltempo, le dieci, per lasciare al sole e al cielo blu il resto della giornata. Noi sulla Guillamet per la Amy il primo colpo e poi alla Mermoz per la Hypermermoz+Argentina il secondo, mentre Franz e la sua cliente est-europea che abbiamo soprannominato Dobrinska Bratislava ma si chiama in maniera totalmente diversa, hanno salito pure loro la Amy ma solamente fino alla fine della gulotte e poi la cresta Giordani e la Fonrouge sempre alla Guillamet.
Tornati in paese ci siamo divertiti ancora suonando un paio di giorni e poi siamo tornati a casa io, Markino e Max. Franz raggiunto da Chiara, incinta con relativo pancione e occhi azzurri, si è trattenuto ancora per accontentare una coppia sabauda che voleva salire una cima a inizio anno.
Abbiamo fatto bene a mettere nel bagaglio chitarra, violino e...percussioni. Abbiamo anche costituito una band (questo vale come atto costitutivo!) detta: LOS CHANTAS, che in Argentina significa gli imbroglioni.
Ecco.
Nella Chocolateria, El Chaltén |
Sarà che ho finito di costruire casa nostra, mia e di mia moglie più i nostri 5 figli, ma questa volta ho guardato con occhi estasiati le albe sul lago Viedma, le seraccate sulla laguna Sucia e di Pedras Blancas, il Cerro Astillado all'orizzonte lontano, i crolli prepotenti del Glaciar Fitz Roy Norte e del Pollone, il telo della tenda tremante e teso sotto il vento implacabile, le fessure da dita lunghe centinaia di metri sulla ovest della Guillamet, i molti amici di El Chaltén a cui è ogni volta impossibile dedicare tutto il tempo che ognuno si meriterebbe, le facce dei miei compagni che ridono alle battute ininterrotte che ci facciamo, schiacciati da zaini spacca schiena, seduti al bar o sprofondati nel sacco a pelo, appesi a una sosta sul granito, sul ghiaccio, su un pendio sassoso o ricoperto di confortevoli cuscini muschiosi.
Mi è sembrato di trovare uno dei mille perché dell'alpinismo a cui nessuno è ancora riuscito a dare risposta.
Per tutto questo voglio tornarci. E non è affatto poco.
Da sinistra: Max Lucco, Marco Grigis, io, Franz Salvaterra |
FOTO DI MAX LUCCO