(in parte pubblicato sulla monografia Alp Tofane-Cinque Torri)
Quello che
segue ora è il racconto disincantato di una serie di avventure di gioventù a
lieto fine dove riuscii a guardarmi dentro come in nessun altra occasione della
mia vita e dove le montagne che più amo e un amico, mi aiutarono a vivere un
giorno grande, uno di quelli in cui ci si sente invulnerabili come Nembo Kid e
la voglia di fare supera ogni altra.
Un tale di
nome Cristophe Profit e compagni impazzava sulle Alpi occidentali fermando i
cronometri su tempi inimmaginabili fino a pochi anni prima. Era l’epoca degli
“enchainemments”, ovvero concatenamenti di più ascensioni alpinistiche.
Percorrendo di corsa più itinerari classici… ma non proprio facili.
E noi?
Noi a oriente
restavamo ammirati sicuramente ma forse ci sentivamo ancora lontani da quelle
cose, oltre che geograficamente anche mentalmente. Si, c’erano stati dei
precedenti a cura di un certo Barbier negli anni ’60 ma poi nulla più, o quasi.
Finchè Marco
(Fanchini detto Gesubambino) incontrò al Monte Bianco l’allora mitico Cristophe
mentre risaliva il Col Flambeau verso il Rif. Torino. Marco era con un cliente
ben allenato e superò in salita l’astro francese, che forse quel giorno non
aveva voglia di correre.
Tornò a
Corvara dove lavorava con me ogni estate e mi disse: si può fare!
Nel 1988 per
un imprudenza mia e del mio compagno mi ritrovai sepolto da un enorme valanga
che mi ruppe un bel mucchio d’ossa costringendomi a letto per 90 giorni. Passai
quindi tre mesi a schiacciare con le dita delle mani una pallina da tennis
mentre le mie vertebre, ed altre ossa qua e là per il corpo, si risistemavano.
In Dolomiti con il giovane Garibaldi nel 1988 |
In realtà
gran parte di quei giorni li passai nel “letto” di una barca a vela perché, mi
ero detto, se devo passare la primavera sdraiato meglio che sia nel miglior
posto possibile. L’ unico problema era spiegare al medico ad ogni visita che io
stavo davvero a riposo anche se ero così bruciato dal sole…
Nell’ agosto
dello stesso anno iniziai a potermi muovere e la voglia di arrampicare era
veramente tanta! Quindi mi mossi soprattutto su pareti verticali litigando con
Marco che si rifiutava, ma solo inizialmente, a farmi da capocordata perché
aveva paura che la schiena mi si spezzasse.
Sas dla Crusc 1985 |
L’ idea di
Marco al ritorno dal Bianco era esaltante. La Costantini Apollonio alla Tofana
di Rozes, la Scoiattoli alla Scotoni, le due Messner e la Livanos al Sass dla
Crusc una dietro l’ altra, in giornata e senza elicotteri o altre diavolerie
volanti, al massimo con l’ automobile.
A inizio
settembre avevo già arrampicato abbastanza ma ero anche riuscito a consumare la
cartilagine di un ginocchio perché camminavo (correvo! E chi ti tiene a vent’anni?)
troppo in discesa dopo un lungo periodo di inattività e qualche legamento
ancora un po’ provato dalle torsioni alle ginocchia della caduta di maggio con
gli sci e gli attacchi bloccati, ma la voglia superava ogni ostacolo.
La voglia
già, che cosa banale eppure così forte. Pensateci.
Reduci dalla nord del Cervino: Baccanti, Fanchini, Cominetti 1983 |
Discutemmo
dopo cena sul fatto che la Costantini Apollonio, detta a Cortina e dintorni
semplicemente “il Pilastro”, fosse o no più dura della Scoiattoli alla Scotoni,
detta semplicemente “la Scotoni”… insomma era più duro il Pilastro o la
Scotoni? ci dicevamo analizzandone i passaggi uno alla volta.
Anni '80 |
Ma tu con i
clienti su quale vedi che fanno più fatica? Sul Pilastro, fu la risposta di
entrambi, quindi il Pilastro è più duro e basta!
Devo dire che
a quei tempi queste vie ci sembravano dei sentieri, ma forse solo perché
avevamo più voglia di percorrerle di oggi, dopo averle fatte decine di volte.
Primo tiro della Scoiattoli alla Scotoni, in libera (e di corsa). Un buon 6c+/7a coi chiodi ancora oggi |
Il bello era
che ci assicuravamo diligentemente su ogni tiro di corda e ciò nonostante in 2
ore e dieci minuti eravamo in cima e scendemmo al pullmino con le frontali
accese, come sulla via.
Come poi del
resto sulla Scotoni, non mi riuscì mai più di salire così velocemente, ma
quella volta la voglia era così tanta… già, la voglia.
Il pulmino
dell’ amore non aveva un gran motore in termini di potenza, era stato si in
Africa attraversandosi mezzo Sahara, nel grande nord scandinavo e su ogni passo alpino ma i cavalli erano
quelli che erano, e quindi la salita a Passo Falzarego , sfilando sotto le
Cinque Torri, fu lenta, ma in discesa il pullmino dell’amore essendo pesante ed
avendo dei pessimi freni era imbattibile, così non tardammo molto. Quello che
si perdeva in salita lo si guadagnava in discesa.
Mi sembra di
sentire i Talking Heads di quell’alba sparati negli enormi altoparlanti del pullmino
di Marco che furono fondamentali per non addormentarci. Psyco Killer
rumoreggiava nelle casse acustiche JBL da salotto opportunamente montate in
fondo al bagagliaio.
Marco sul pilastro di destra Sas dla Crusc 1985 |
Su alla
Scotoni dunque, ovviamente di corsa, e con una voglia matta di arrampicare
mentre iniziava a far chiaro. La via durò 1 ora e 45 minuti e ci fu il tempo di
mettere a bagno i piedi nel laghetto di Lagazuoi prima di riprendere la corsa.
Tu sei
stanco? Ci chiedevamo a vicenda, io no. Era la risposta. La voglia era
tantissima e correre non costava nulla. Mangiavamo una cioccolata a via e ci
cambiammo la maglietta una volta a testa. Io ne avevo una con su un bluesman
nero del Louisiana Pub di Arona.
Al Sas dla
Crusc, dopo le due Messner, si mise a piovere e quindi rinunciammo alla
Livanos, per fortuna! Avevamo arrampicato per 7 ore e tre quarti più gli
spostamenti, ma fino ad allora non eravamo stanchi, erano le sei di sera.
La stanchezza
si fece sentire lungo la discesa sotto la pioggia, ma credo per la noia che
richiese farla.
Eravamo dei
razzi ed avevamo una voglia matta di divertirci fine a se stessa, proprio fine
a se stessa. E ditemi se è poco!
A Novembre
partimmo per la Patagonia, destinazione: Cerro Torre.
Trascorremmo
28 giorni sotto la pioggia al Campo Maestri con degli sloveni (Silvo Karo e
Janez Yeglic) dei cecoslovacchi (Miroslav Shmidt e altri tre suoi amici) e uno
svizzero di
Arosa, Bobi Goete che ci insegnarono un sacco di parolacce. Un
giorno che fece bel tempo arrivammo quasi in cima ma la tormenta ci ricacciò a
valle e il Cerro Torre non lo vedemmo più. Facendo l’autostop e prendendo pure
qualche aereo visitammo delle località che però ci sembrarono sempre molto
squallide. Capii solo dopo anni che quello era il bello della Patagonia: lo
squallore splendente!
Marco sul Torre 1988 |
Una sera, in
un locale che si chiamava Don Diego de la Noche ascoltavamo un musicista triste
che eseguiva delle milonghe. La milonga è come una nenia che ha sempre lo
stesso tempo e basa la sua forza sulla ripetitività e sul testo.
Quando il
musico si concesse una pausa, Marco gli chiese se poteva suonare un po’ la sua
chitarra. Iniziò con un pezzo di Pino Daniele, poi un altro e la gente sembrava
gradire. Il musico argentino aveva finito la sua pausa e avrebbe volentieri
ripreso a suonare, ma la folla era ormai impazzita e ballava al ritmo delle
note di Marco. La chitarra, per il musico era irraggiungibile! Così Marco
attaccò Psyco Killer dei Talking Heads e la folla si esaltò al punto che il
musico locale si incazzò da morire e con dei suoi amici si organizzava per
menarci.
Mio figlio Tommaso nel 1990 |
Quando Marco
restituì la chitarra al proprietario, un ceffo lì vicino gli assestò un
cazzotto sul naso facendolo sanguinare mentre cadeva a terra. Iniziarono a
volare spintoni e insulti. Mi presi un calcio nella schiena da ospedale e mi
trascinai verso la porta dove anche Marco cercava di andare mentre spiegava a
parole, ma nessuno lo capiva, che non voleva fare torto a nessuno.
Ci ritrovammo
fuori nella notte ventosa tutti doloranti e ce ne andammo litigando tra noi.
Era quasi
Natale e di lì a poco rientrammo in Italia.
Prima che
finisse l’anno concepii senza saperlo il mio primo figlio.