Invitato da un vecchio amico (Carlo Ferrari) prenderò parte alla rassegna di Viaggi
OBIETTIVO SUL MONDO
Nel video i dettagli e sulla pagina Facebook dedicata, tutte le altre informazioni.
https://youtu.be/JumEXUBCKXI video
http://www.mentelocale.it/genova/eventi/73618-obiettivo-sul-mondo-2018-multivisioni-di-viaggi-in-4-serate-le-proiezioni.htm programma delle 4 serate
Purtroppo per gravi motivi personali sono stato costretto a disdire questo impegno.
venerdì 26 gennaio 2018
giovedì 4 gennaio 2018
UNA MISURA DI CIVILTA'
Fontana di Lyssos a Creta (GR) |
A Creta la stagione turistica si protrae da aprile a
novembre. Nei ristoranti di Chania o delle numerosissime località balneari
bisogna prenotare il tavolo anche in bassa stagione, tanto sono affollati.
Posti meravigliosi, gente affabile e schietta, prezzi
onestissimi, gastronomia eccellente e servizi della massima efficienza sono gli
ingredienti di tanto successo. Lungo le nostre riviere a fine Settembre a volte
non trovi un bar aperto per berti un caffè, tanto per fare un paragone, ma come
mai?
A Creta, ma non succede solo lì, ti siedi al tavolo in un
qualsiasi ristorante e ti portano, senza che tu l’abbia chiesta, una brocca di
acqua naturale da bere, alla fine del pasto il tipico liquore raki ti viene
offerto di default e il coperto non esiste nelle voci del menù. Insomma, i
motivi per andare a Creta non mancano.
Lungo l’arco alpino l’acqua non manca
di certo e i vecchi montanari hanno costruito fontane e abbeveratoi in ogni
valle. Le prime per dissetare le persone e per fare il bucato e i secondi per
le bestie.
Prima, durante o dopo una gita, incontrare una fontana è sempre
piacevole.
Nel bel libro di Reinhold Messner Ritorno ai Monti, c’è una frase
che considero di estrema poesia e pragmatismo:
“nel tornare a valle la fontana
disseta
tanto il più audace degli alpinisti
quanto il semplice camminatore”.
Nei paesi delle Dolomiti dove vivo le fontane stanno scomparendo perché l’avanzata del turismo ne fa a meno volentieri a vantaggio delle terribili bottiglie in plastica. Quando ero piccolo e dicevo a mia madre che avevo sete, mi diceva che a casa avrei bevuto. A volte prima di arrivare a casa mancava qualche ora e così ho imparato a sopportare la sete. Oggi, la mamma moderna, compra subito la famigerata bottiglietta.
Fontana a S.Rocco di Camogli |
Torniamo ai monti. Laddove il turismo si espande le fontane
lasciano posto ai bar e basta deviare per una valle laterale meno “firmata” che
subito le fontane riappaiono. Io vivo in una di quelle e davanti a casa ho una
fontana dove chiunque può bere, a qualsiasi ora. Trovo che incontrare l’acqua
gratuita sia una grande dimostrazione di civiltà e un metro per valutarne la
portata.
Un turista intelligente dovrebbe boicottare quelle località
che levano le fontane in nome di un mancato controllo sanitario, usato come
scusa. Bere da una fontana non ha mai fatto ammalare nessuno ma è gratis,
questo è il problema. La sterilità e la dubbia provenienza, nonostante tutte le
certificazioni a norma di legge dell’acqua commerciale in bottiglia,
contrastano nettamente con un’idea di libertà e nella Natura l’essere umano ama
sentirsi libero. O forse mi sbaglio. Amava, sarebbe meglio dire, perché ai più
la Natura fa paura e la vivono attraverso le vetrate della spa dell’hotel
stellato nel quale si sono blindati per la vacanza di rito.
Fontana a Baunei in Sardegna |
Ho vissuto molti anni in Sardegna dove l’acqua potabile è
una risorsa rara. Rarissima in piena estate in certe zone. Il suolo calcareo
non la trattiene in superficie e le poche sorgenti sono considerate luoghi
sacri. Non di rado in corrispondenza di una sorgente si trovano immagini e
manufatti religiosi a simboleggiare un’atavica e antica necessità umana.
La sacra fonte di Su Gologone è divenuta negli anni un'attrazione turistica.
Quando
avevo poco più di dieci anni ho trascorso tre estati a Santulussurgiu, dove
quotidianamente accompagnavo il mio amico Gian Bachisio, più grande di me di un
anno, a dorso d’asino, a raggruppare le sue vacche presso l’unico abbeveratoio
della zona, dove altri pastori facevano la coda con le loro greggi e mandrie,
per abbeverare a dovere le bestie smagrite dal caldo e dalla siccità.
Mio padre, dall’alto della sua saggezza, ha imparato da molti anni a distinguere le diverse sorgenti per il tipo d’acqua che vi sgorga utilizzandola per curarsi lievi malattie, malesseri temporanei, indisposizioni del fisico. Questa cultura dell’acqua l’ha trasmessa a tutta la sua famiglia sottolineandone sempre il valore legato alla Natura, che ha da offrire ai suoi abitanti questa e altre preziosità.
Come posso dissetarmi acquistando una bottiglietta di plastica?
Recarsi alla sorgente con orci rigorosamente di vetro (guai a usare taniche in plastica) è scomodo ma scandisce un tempo che non c’è più e che non andrebbe perduto. E’ come la stufa a legna in casa quando fa freddo. Con tre pezzi di legno ti scalda. Certo, il termostato a muro dove scegliere la temperatura ideale, anche da remoto, è una bella comodità. Arrivi a casa ed è calda al punto giusto. Ma quel paio d’ore spese ad attizzare il fuoco con addosso un bel maglione di lana pesante in attesa che la temperatura diventi accogliente, siamo così sicuri che siano buttate? Non sono forse le comodità che generano stress con il loro essere appunto comode?
Provate a starvene da soli davanti a un termosifone con una bottiglia di plastica e forse potrete rimpiangere chi se ne sta davanti a un bel fuoco con una brocca d’acqua di sorgente per dissetarsi a dovere.
L’acqua è indispensabile alla nostra sopravvivenza e non deve essere resa commerciale per il guadagno di pochi a discapito degli altri, che sono la maggior parte.
Un paese che si dichiara civile dovrebbe avere chiari questi valori di base prima di darsi a dei progetti ambiziosi d’ogni genere e sorta. L'acqua nelle bottiglie di plastica, non compratela.
Mio padre, dall’alto della sua saggezza, ha imparato da molti anni a distinguere le diverse sorgenti per il tipo d’acqua che vi sgorga utilizzandola per curarsi lievi malattie, malesseri temporanei, indisposizioni del fisico. Questa cultura dell’acqua l’ha trasmessa a tutta la sua famiglia sottolineandone sempre il valore legato alla Natura, che ha da offrire ai suoi abitanti questa e altre preziosità.
Come posso dissetarmi acquistando una bottiglietta di plastica?
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"La sete" foto di Giuseppe Cominetti 1958 |
Provate a starvene da soli davanti a un termosifone con una bottiglia di plastica e forse potrete rimpiangere chi se ne sta davanti a un bel fuoco con una brocca d’acqua di sorgente per dissetarsi a dovere.
L’acqua è indispensabile alla nostra sopravvivenza e non deve essere resa commerciale per il guadagno di pochi a discapito degli altri, che sono la maggior parte.
Un paese che si dichiara civile dovrebbe avere chiari questi valori di base prima di darsi a dei progetti ambiziosi d’ogni genere e sorta. L'acqua nelle bottiglie di plastica, non compratela.
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Fontana di guerra sulla Cengia Martini al Lagazuoi |
lunedì 1 gennaio 2018
TROLLEY GENERATION
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Con la mia splendidamente scomoda borsa a S.Isidro (ARG) |
Nel 1990 viaggiavo molto e una nota ditta produttrice di
valigie mi fece un regalo: una capiente borsa con manico allungabile e ruote. Le
due rotelle, montate su cuscinetti a sfere, facevano spostare la borsa con
estrema facilità e ci potevo caricare dentro un sacco di roba, anche pesante,
portandomela appresso con poco sforzo. Ai tempi era una novità.
La usai molto, fino a sfondarla ma un calzolaio me la riparò
e ce l’ho ancora. E’ bella perché è vissuta nell’aspetto e soprattutto funziona
ancora a meraviglia. Ma non la uso più! Viaggio un po’ meno di allora ma abbastanza per avere
bisogno di borse e non ne ho mai più voluta una con le ruote. Mi succedeva che
caricavo un sacco di cose che poi non mi servivano . Sono sempre stato fedele al
principio che se hai il dubbio tra portare o no una cosa, che magari potrebbe
servire, quella cosa va lasciata a casa.
Evidentemente non la pensano così la maggior parte delle persone: basta
prendere il treno, per incocciare in una moltitudine di passeggeri che
trascinano dietro di sé pesanti valigie a ruote che poi non riescono a mettere
sulle cappelliere, ingombrando i corridoi. Mi dico che in quelle valigie ci
saranno sicuramente molte cose inutili, che vengono caricate al loro interno
solo perché con le ruote si trasportano più facilmente.
Viviamo in un sistema fondato sulla crescita, dove l’essenzialità è malvista e non può essere associata all’odierna idea di benessere che si basa sul possesso di oggetti più o meno costosi e non sull’effettiva qualità della vita e sulla felicità delle persone. Per me “stare bene” non può dipendere dal possesso di cose ma da come mi sento indipendentemente da esse. E poi, con meno oggetti, si è più agili e leggeri.
Sono un alpinista e da molto tempo ho capito che per salire sulle montagne, facili o difficili che siano, meno cose ti porti e meglio è. Si è più veloci, efficaci, meno stanchi e non ultimo anche più sicuri.
Questo mio modo di pensare spesso mi procura dei problemi nei confronti di molte persone.
Mi compro pochi vestiti, cambio la macchina quando non ne può più e non quando esce un modello nuovo, mangio poco e le cose che possiedo so quanto durano e quindi non le cambio solo perché mi hanno stufato.
Viviamo in un sistema fondato sulla crescita, dove l’essenzialità è malvista e non può essere associata all’odierna idea di benessere che si basa sul possesso di oggetti più o meno costosi e non sull’effettiva qualità della vita e sulla felicità delle persone. Per me “stare bene” non può dipendere dal possesso di cose ma da come mi sento indipendentemente da esse. E poi, con meno oggetti, si è più agili e leggeri.
Sono un alpinista e da molto tempo ho capito che per salire sulle montagne, facili o difficili che siano, meno cose ti porti e meglio è. Si è più veloci, efficaci, meno stanchi e non ultimo anche più sicuri.
Questo mio modo di pensare spesso mi procura dei problemi nei confronti di molte persone.
Mi compro pochi vestiti, cambio la macchina quando non ne può più e non quando esce un modello nuovo, mangio poco e le cose che possiedo so quanto durano e quindi non le cambio solo perché mi hanno stufato.
Insomma per il sistema sono un danno ma sono certo che inseguire
la crescita a tutti i costi (stress, poco tempo libero, mancanza di affetti,
ecc) non renda felici e porti malamente alla fine. Ogni cosa cresce e poi
raggiunge un suo equilibrio, ma se continuiamo a pomparla per farla crescere
sempre più, prima o poi scoppia.
A cavallo tra gli anni ’90 e i primi del 2000 ho fatto l’istruttore ai corsi per diventare Guida Alpina. Una bella esperienza a contatto con gente giovane e entusiasta di ciò che faceva. Mi sono sempre tenuto alla larga dalle “novità a ogni costo” pur essendo curioso, e ho cercato soprattutto di insegnare agli allievi come si fa questo complicato e bellissimo lavoro. Smisi di fare l’istruttore quando, tra l’attrezzatura da alpinismo, apparve un oggetto assolutamente inutile: la dasy chain, un anello di fettuccia in nylon cucita in più punti in modo da ottenere molti anelli più piccoli a guisa di catena, utilizzabile per vari scopi. Il bello è che tutti questi scopi possono essere assolti egregiamente dall’attrezzatura base che ogni alpinista si porta appresso. Non sto qui a elencarli, ma aggiungere un ulteriore attrezzo a quell’insieme, a volte complicato, di elementi che ci assicurano a una parete (imbragatura, moschettoni, fettucce, cordini, chiodi, ecc), mi sembra superfluo e pure pericoloso. In breve, nell’alpinismo, se di un oggetto non ne senti estremo bisogno significa che non serve averlo, ovviamente occorre scegliere con estrema cura solo l’indispensabile. Nel 1983 Jean Marc Boivin salì in 10 ore l’integrale di Peuterey da solo dichiarando di non avere portato con sé la borraccia, visto che non gli serviva!
A cavallo tra gli anni ’90 e i primi del 2000 ho fatto l’istruttore ai corsi per diventare Guida Alpina. Una bella esperienza a contatto con gente giovane e entusiasta di ciò che faceva. Mi sono sempre tenuto alla larga dalle “novità a ogni costo” pur essendo curioso, e ho cercato soprattutto di insegnare agli allievi come si fa questo complicato e bellissimo lavoro. Smisi di fare l’istruttore quando, tra l’attrezzatura da alpinismo, apparve un oggetto assolutamente inutile: la dasy chain, un anello di fettuccia in nylon cucita in più punti in modo da ottenere molti anelli più piccoli a guisa di catena, utilizzabile per vari scopi. Il bello è che tutti questi scopi possono essere assolti egregiamente dall’attrezzatura base che ogni alpinista si porta appresso. Non sto qui a elencarli, ma aggiungere un ulteriore attrezzo a quell’insieme, a volte complicato, di elementi che ci assicurano a una parete (imbragatura, moschettoni, fettucce, cordini, chiodi, ecc), mi sembra superfluo e pure pericoloso. In breve, nell’alpinismo, se di un oggetto non ne senti estremo bisogno significa che non serve averlo, ovviamente occorre scegliere con estrema cura solo l’indispensabile. Nel 1983 Jean Marc Boivin salì in 10 ore l’integrale di Peuterey da solo dichiarando di non avere portato con sé la borraccia, visto che non gli serviva!
Un amico si era appena comprato un lussuoso pullmino 4x4, alle
porte dell’inverno l’aveva dovuto dotare di pneumatici invernali e, alla mia
proposta di venirmi a trovare in montagna per farci qualche gita, mi rispose
che dopo l’acquisto delle gomme era rimasto senza soldi, e quindi sarebbe
restato a casa. Robe da matti.
Non credo che la fatica vada scansata a prescindere. Ci sono
connesse a essa infiniti elementi che determinano il nostro vero benessere.
Quindi quando viaggio mi porto una borsona con tracolla e ci metto dentro
l’indispensabile per non farla troppo pesante e per non ritrovarmi in giro
pieno di cose inutili.
domenica 10 dicembre 2017
ICE CLIMBING & FREERIDING DOLOMITES 2018
Affilate picche e ramponi!
Dal 31 dicembre a marzo.... da soli, in coppia o in gruppo.
E tirate fuori gli sci, visto che
quest'inverno la neve c'é!
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M.Cominetti, Gr.Sella Dolomites, ph.M.Agreiter qui i dettagli |
contact
info@marcellocominetti.com
whatsapp +393277105289
mercoledì 15 novembre 2017
Tra Nepal e Patagonia 2017/'18
Tra le varie partenze autunnali e di fine anno sono riuscito a infilare qualche bella arrampicata in terra sarda. Qui siamo in cima all'Aguglia di Goloritzè che forse non tutti sanno chiamarsi MONTE CAROTA (Punta Caroddi in baunese), a Pedralonga e al Sistema Solare, nelle vicinanze di S.Maria Navarrese (Baunei).
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Marta su Marinaio di Foresta a Pedralonga ph. A.DeGiuli |
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L'uscita in cima a Pedralonga su Marinaio di Foresta ph. A.DeGiuli |
Claudia nella falesia detta Sistema Solare, S.Maria Navarrese |
Con Simona in cima alla Carota |
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Vetta Mediterranea |
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Dalla cima verso Cala Goloritzè |
domenica 1 ottobre 2017
VERO FREERIDE II
IL BUGIARDO ( Vero Freeride II )
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Da sin.: io, Stefano Bonetti, Sandro Pansini, Libero Liggeri, Angelo Baccini, Walter Buongiorno. S.Fruttuoso di Camogli 1978 |
Genova 1978
Al nostro gruppo degli Scout, dopo una campagna per
raccogliere iscritti che non ricordo come si svolse, si aggiunse in autunno un
elemento degno di nota.
RL era un bel giovanotto poco più che ventenne, simpatico, incantava tutti con i suoi racconti, specie le ragazze. Di nobili origini possedeva case, tenute e castelli in ogni località di grido e aveva, a dir suo, un’attività sessuale che a tutti noi sembrava notevole.
Ovviamente si muoveva su lussuose auto con autista, solo sulla Lamborghini Miura guidava lui, era un campione in diversi sport e vestiva capi di marca e alla moda casual di allora.
Arrivato l’inverno lo invitammo a passare una domenica con noi sugli sci nella
località di Artesina, piccola e modesta stazione delle Alpi Marittime. Accettò
con un po’ di riluttanza e ci disse che si sarebbe presentato all’appuntamento
con una macchina “adatta”.
Era ancora buio quando ci incontrammo al casello di Genova Ovest presso la concessionaria Fiat e RL non si presentò con la jeep che ci immaginavamo, bensì con una Autobianchi A112 Abarth da 58 cavalli rossa e nera.
Non si trattava di una fuoriserie ma era comunque una macchina fighissima e io vi presi volentieri posto.
Gli altri occupavano la seconda A112 amaranto di Maurizio e la Fiat 850 Coupé blu notte di Firpo.
Imboccata l’autostrada, RL non risparmiò di tirare bene le marce per dimostrare di che pasta era fatta la sua scattante autovettura, costringendo gli altri che seguivano a superare i limiti che ci davamo per rientrare nel rosicato budget di cui disponevamo che prevedeva di non consumare più di tot carburante e quindi di stare sotto i 100 km all’ora.
Il piccolo convoglio avanzava brillantemente verso Savona e poi Mondovì lungo la vecchia autostrada per Torino dalle corsie con sorpasso alternato, pericolosissima, si diceva, ma che a noi mai sembrò tale.
Arrivati a destinazione e acquistati alcuni skipass (altri venivano falsificati abilmente, sempre per risparmiare) inforcavamo gli impianti per smettere di sciare solo quando avrebbero chiuso.
Bisogna dire che per noi sciare significava una sola cosa: metterci nei guai e combinare dei grossi casini. Le piste a gobbe (quelle lisciate di oggi non esistevano ancora) ci piacevano fino a un certo punto perché prevalentemente ci infilavamo nei boschi o comunque giù da pendii fuoripista. Saltavamo dalla seggiovia, andavamo all’indietro sullo skilift o in 2 o 3 alla volta, costruivamo salti sfinendoci dalle botte che prendevamo cadendo e ricordo una sensazione di umido costante addosso perché i vestiti erano sempre bagnati dalla neve fonda in cui rotolavamo facendo la lotta, in cui cadevamo lanciandoci dagli alberi o semplicemente sciando alla massima velocità per esplodere in tragicomiche nuvole bianche.
RL aveva sempre sciato col maestro o con campioni e ci diceva che quello non era sciare, ma tentava di seguirci per non restare solo e in breve tempo fu esausto. Approfittò di una breve pausa durante la quale mangiammo i panini preparati dalle nostre mamme, per riprendersi un poco, ma si vedeva che le gambe non rispondevano più da tempo alla volontà del loro padrone, figuriamoci gli sci…
Dopo l’ennesima caduta a ribaltoni nella neve fonda, RL era sull’orlo dello sfinimento mentre noi altri eravamo solo preoccupati perché di lì a poco gli impianti avrebbero chiuso.
Partimmo quindi per un’ultima risalita per scendere fuoripista, ovviamente, alla “merdaccia chi arriva ultimo”.
L’aria di mare si faceva sentire da un pezzo e la neve, polverosa al mattino, nel pomeriggio era diventata cartongesso, ma noi, nulla ci poteva fermare! RL prese velocità, perse completamente il controllo e fece l’ennesima spettacolare caduta: il suo corpo sembrava un manichino vuoto che si torceva e avvitava su se stesso fino a sbattere al suolo violentemente. Non si muoveva più, era morto! No, muoveva un braccio, la faccia sfregiata era sotto la neve macchiata di sangue. Gli usciva un rantolo dalla bocca riempita dalla neve. Cercammo di aiutarlo ma se lo toccavamo urlava come una scimmia impazzita. A quei tempi alla chiusura degli impianti non passava nessun controllo piste di sicurezza e stava diventando velocemente buio. Chiamare soccorso era l’ultima delle cose che ci sarebbe venuta in mente. Tutto era deserto e immobile e bisognava scendere in qualche modo. RL si contorceva dal dolore e piangeva mentre noi lo trascinavamo fino al fondovalle tirandolo per la giacca a vento fradicia e i suoi piedi giravano a 360 gradi come quelli di Pinocchio. Ma RL non era un cartone animato. Dal ginocchio in giù le gambe non sembravano più le sue tanto strisciavano sulla neve seguendone le asperità senza reagire.
Arrivati al parcheggio ci ingegnammo per il trasporto del ferito. Costruimmo una specie di barella con dei cartoni recuperati dai cassonetti dei rifiuti per poter sdraiare RL sul sedile dell’850 di Firpo, l’unica con i sedili ribaltabili. RL era allo stremo, sembrava un ferito di guerra di quelli che si vedevano nei film.
Neanche a dirlo Sandro, il più grande della nostra compagnia, inforcò con Libero la A112 Abarth di RL per correre a Genova, vedere quale velocità massima poteva raggiungere quel piccolo bolide e per avvisare al telefono i familiari di RL. Telefonare da Artesina sarebbe costato troppi gettoni telefonici…
Le curve per scendere a Mondovì erano una tortura per RL che sballottava al mio fianco, io cercavo di immobilizzarlo ma lui urlava di dolore e non voleva essere toccato in nessuna parte del corpo. Firpo alla guida cercava argomenti che secondo lui potevano distrarre RL dai suoi dolori lancinanti: la versione Coupé della Fiat 850 non era come la sua omonima berlina ma vantava un motore di ben 1000 cc e soprattutto, trattandosi di un’auto sportiva, aveva sospensioni molto più dure! Ecco il perché di quei sobbalzi, dolorosissimi per RL, che io cercavo di confortare facendogli mordere uno straccio tutto sporco trovato sotto al sedile.
Imboccata l’autostrada, al principio tutto sembrava filare meglio ma durò pochissimo perché poco dopo iniziò una serie di viadotti e sulle giunzioni tra le parti di cemento armato che li compongono le sospensioni dell’850 Coupé diedero il meglio di sé ricordando a RL ancora una volta che anche quella, oltre alla sua, era un’auto sportiva.
Una consuetudine alla quale non potevamo venire meno, pena lo sforare dal nostro budget domenicale, era quella di fare tutti i tratti in discesa a motore spento. Firpo non era uno spericolato, tra noi era forse il più calmo e prudente, ma per non perdere l’abbrivio non toccava mai i freni e, se serviva, si lanciava pure in sorpassi a motore spento tra le corsie del sorpasso alternato con la massima naturalezza. Diceva che per non scaricare la batteria, che a motore spento non veniva ricaricata dalla dinamo, non poteva tenere accesi gli anabbaglianti e quindi andavamo con le sole luci di posizione e i sorpassi erano un azzardo pazzesco.
Finalmente arrivammo all’ospedale Galliera di Genova. Eravamo tutti nella sala d’aspetto del Pronto Soccorso mentre gli infermieri adagiavano RL su una vera barella e lui ci guardava in lacrime e con gli occhi sbarrati, felice di essere finalmente sfuggito alle nostre manovre poco delicate.
Ce ne stavamo con l’aria mesta ad aspettare il padre di RL che era stato avvertito al telefono, ci aspettavamo un nobiluomo con Mercedes nera o con una Lancia Fulvia 2000 grigio metallizzato, ovviamente con autista in livrea. Grande fu la nostra sorpresa quando da una Fiat 850 berlina scese un ometto che correndo verso il Pronto Soccorso gridava in dialetto genovese “duv’e u l’è mèe figgiu”. Fu allora che scoprimmo, con disappunto e meraviglia, che il padre di RL faceva il portuale e che il figlio, poveraccio, aveva riportato fratture scomposte e a spirale di tibia e perone di entrambe le gambe.
Viaggiò in stampelle per mesi e mesi, fu sottoposto a numerosi interventi chirurgici e non lo vedemmo mai più.
RL era un bel giovanotto poco più che ventenne, simpatico, incantava tutti con i suoi racconti, specie le ragazze. Di nobili origini possedeva case, tenute e castelli in ogni località di grido e aveva, a dir suo, un’attività sessuale che a tutti noi sembrava notevole.
Ovviamente si muoveva su lussuose auto con autista, solo sulla Lamborghini Miura guidava lui, era un campione in diversi sport e vestiva capi di marca e alla moda casual di allora.
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Freeride anni '80 |
Era ancora buio quando ci incontrammo al casello di Genova Ovest presso la concessionaria Fiat e RL non si presentò con la jeep che ci immaginavamo, bensì con una Autobianchi A112 Abarth da 58 cavalli rossa e nera.
Non si trattava di una fuoriserie ma era comunque una macchina fighissima e io vi presi volentieri posto.
Gli altri occupavano la seconda A112 amaranto di Maurizio e la Fiat 850 Coupé blu notte di Firpo.
Imboccata l’autostrada, RL non risparmiò di tirare bene le marce per dimostrare di che pasta era fatta la sua scattante autovettura, costringendo gli altri che seguivano a superare i limiti che ci davamo per rientrare nel rosicato budget di cui disponevamo che prevedeva di non consumare più di tot carburante e quindi di stare sotto i 100 km all’ora.
Il piccolo convoglio avanzava brillantemente verso Savona e poi Mondovì lungo la vecchia autostrada per Torino dalle corsie con sorpasso alternato, pericolosissima, si diceva, ma che a noi mai sembrò tale.
Arrivati a destinazione e acquistati alcuni skipass (altri venivano falsificati abilmente, sempre per risparmiare) inforcavamo gli impianti per smettere di sciare solo quando avrebbero chiuso.
Bisogna dire che per noi sciare significava una sola cosa: metterci nei guai e combinare dei grossi casini. Le piste a gobbe (quelle lisciate di oggi non esistevano ancora) ci piacevano fino a un certo punto perché prevalentemente ci infilavamo nei boschi o comunque giù da pendii fuoripista. Saltavamo dalla seggiovia, andavamo all’indietro sullo skilift o in 2 o 3 alla volta, costruivamo salti sfinendoci dalle botte che prendevamo cadendo e ricordo una sensazione di umido costante addosso perché i vestiti erano sempre bagnati dalla neve fonda in cui rotolavamo facendo la lotta, in cui cadevamo lanciandoci dagli alberi o semplicemente sciando alla massima velocità per esplodere in tragicomiche nuvole bianche.
RL aveva sempre sciato col maestro o con campioni e ci diceva che quello non era sciare, ma tentava di seguirci per non restare solo e in breve tempo fu esausto. Approfittò di una breve pausa durante la quale mangiammo i panini preparati dalle nostre mamme, per riprendersi un poco, ma si vedeva che le gambe non rispondevano più da tempo alla volontà del loro padrone, figuriamoci gli sci…
Dopo l’ennesima caduta a ribaltoni nella neve fonda, RL era sull’orlo dello sfinimento mentre noi altri eravamo solo preoccupati perché di lì a poco gli impianti avrebbero chiuso.
Partimmo quindi per un’ultima risalita per scendere fuoripista, ovviamente, alla “merdaccia chi arriva ultimo”.
L’aria di mare si faceva sentire da un pezzo e la neve, polverosa al mattino, nel pomeriggio era diventata cartongesso, ma noi, nulla ci poteva fermare! RL prese velocità, perse completamente il controllo e fece l’ennesima spettacolare caduta: il suo corpo sembrava un manichino vuoto che si torceva e avvitava su se stesso fino a sbattere al suolo violentemente. Non si muoveva più, era morto! No, muoveva un braccio, la faccia sfregiata era sotto la neve macchiata di sangue. Gli usciva un rantolo dalla bocca riempita dalla neve. Cercammo di aiutarlo ma se lo toccavamo urlava come una scimmia impazzita. A quei tempi alla chiusura degli impianti non passava nessun controllo piste di sicurezza e stava diventando velocemente buio. Chiamare soccorso era l’ultima delle cose che ci sarebbe venuta in mente. Tutto era deserto e immobile e bisognava scendere in qualche modo. RL si contorceva dal dolore e piangeva mentre noi lo trascinavamo fino al fondovalle tirandolo per la giacca a vento fradicia e i suoi piedi giravano a 360 gradi come quelli di Pinocchio. Ma RL non era un cartone animato. Dal ginocchio in giù le gambe non sembravano più le sue tanto strisciavano sulla neve seguendone le asperità senza reagire.
Arrivati al parcheggio ci ingegnammo per il trasporto del ferito. Costruimmo una specie di barella con dei cartoni recuperati dai cassonetti dei rifiuti per poter sdraiare RL sul sedile dell’850 di Firpo, l’unica con i sedili ribaltabili. RL era allo stremo, sembrava un ferito di guerra di quelli che si vedevano nei film.
Neanche a dirlo Sandro, il più grande della nostra compagnia, inforcò con Libero la A112 Abarth di RL per correre a Genova, vedere quale velocità massima poteva raggiungere quel piccolo bolide e per avvisare al telefono i familiari di RL. Telefonare da Artesina sarebbe costato troppi gettoni telefonici…
Le curve per scendere a Mondovì erano una tortura per RL che sballottava al mio fianco, io cercavo di immobilizzarlo ma lui urlava di dolore e non voleva essere toccato in nessuna parte del corpo. Firpo alla guida cercava argomenti che secondo lui potevano distrarre RL dai suoi dolori lancinanti: la versione Coupé della Fiat 850 non era come la sua omonima berlina ma vantava un motore di ben 1000 cc e soprattutto, trattandosi di un’auto sportiva, aveva sospensioni molto più dure! Ecco il perché di quei sobbalzi, dolorosissimi per RL, che io cercavo di confortare facendogli mordere uno straccio tutto sporco trovato sotto al sedile.
Imboccata l’autostrada, al principio tutto sembrava filare meglio ma durò pochissimo perché poco dopo iniziò una serie di viadotti e sulle giunzioni tra le parti di cemento armato che li compongono le sospensioni dell’850 Coupé diedero il meglio di sé ricordando a RL ancora una volta che anche quella, oltre alla sua, era un’auto sportiva.
Una consuetudine alla quale non potevamo venire meno, pena lo sforare dal nostro budget domenicale, era quella di fare tutti i tratti in discesa a motore spento. Firpo non era uno spericolato, tra noi era forse il più calmo e prudente, ma per non perdere l’abbrivio non toccava mai i freni e, se serviva, si lanciava pure in sorpassi a motore spento tra le corsie del sorpasso alternato con la massima naturalezza. Diceva che per non scaricare la batteria, che a motore spento non veniva ricaricata dalla dinamo, non poteva tenere accesi gli anabbaglianti e quindi andavamo con le sole luci di posizione e i sorpassi erano un azzardo pazzesco.
Finalmente arrivammo all’ospedale Galliera di Genova. Eravamo tutti nella sala d’aspetto del Pronto Soccorso mentre gli infermieri adagiavano RL su una vera barella e lui ci guardava in lacrime e con gli occhi sbarrati, felice di essere finalmente sfuggito alle nostre manovre poco delicate.
Ce ne stavamo con l’aria mesta ad aspettare il padre di RL che era stato avvertito al telefono, ci aspettavamo un nobiluomo con Mercedes nera o con una Lancia Fulvia 2000 grigio metallizzato, ovviamente con autista in livrea. Grande fu la nostra sorpresa quando da una Fiat 850 berlina scese un ometto che correndo verso il Pronto Soccorso gridava in dialetto genovese “duv’e u l’è mèe figgiu”. Fu allora che scoprimmo, con disappunto e meraviglia, che il padre di RL faceva il portuale e che il figlio, poveraccio, aveva riportato fratture scomposte e a spirale di tibia e perone di entrambe le gambe.
Viaggiò in stampelle per mesi e mesi, fu sottoposto a numerosi interventi chirurgici e non lo vedemmo mai più.
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Boccadasse (Ge) 1979 |
martedì 5 settembre 2017
Settembre: il periodo dell'anno più bello per scalare in Dolomiti
sabato 27 maggio 2017
Rassegna alpinistica in Alta Badia EMOZIONI SOSPESE, 18 luglio 2017 IL CERRO TORRE SECONDO ME
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Fitz Roy e Cerro Torre Massif da Paso Marconi, Patagonia |

Corvara è il posto dove ho vissuto 22 anni e resta "il mio paese" anche se da un po' di tempo vivo poco distante.
Qui tutti i dettagli:
L'ingresso è libero, siete tutti invitati.
PS. il Fitz Roy e il Cerro Torre NON sono in Alto Adige/Suedtirol.
PS. il Fitz Roy e il Cerro Torre NON sono in Alto Adige/Suedtirol.
martedì 9 maggio 2017
SERATA A GENOVA IL 22 MAGGIO al Cinema Sivori con Franz Salvaterra
26 maggio 2017, il cimena Sivori era pieno fino all'orlo! Grande entusiasmo del pubblico che ha partecipato dopo la proiezione con domande di ogni tipo.
Grazie Genova!
giovedì 4 maggio 2017
SCI DI UNA VOLTA, MA NON TROPPO
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In Marmolada a fine aprile 2017 |
Cliccando sull'immagine si può ingrandire.
Oggi, 4 maggio vedo la Marmolada dalla finestra di casa innevata come mai lo è stata durante l'inverno appena finito e... forse mai arrivato. Qualche bella gita con le pelli si può ancora fare.
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