|
Giuseppe Cominetti
(Tambre BL ca. 1970) |
Giuseppe Cominetti
nacque a Milano il 14 Maggio 1924 da
Marcello Cominetti (Abbadia Lariana LC 1896- Genova 1957) e Irma Svalduz
(Tambre d’Alpago BL 1899-Genova 1980).
Il padre, Marcello era macchinista ferroviere e si trasferì
a Genova poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale.
A 19 anni dovette lasciare la scuola dove studiava da Perito Elettrotecnico
perché, subito dopo l’8 Settembre 1943 venne chiamato a far parte dell’Esercito
in fanteria. Dopo soli 14 giorni di addestramento a Milano fuggì tornando a
Genova e si nascose in un sotterraneo ricavato sotto al pavimento di casa.
|
Partigiani a Cichero. Cominetti è al centro accosciato |
Mentre andava a fare visita alla fidanzata (Maria Lancia che poi divenne sua
moglie) venne tradito da un vicino di casa e catturato dalla polizia. Fu
inviato in Germania tramite la neonata Repubblica di Salò come bersagliere,
dove si specializzò nell’uso militare di esplosivi, abilità che gli tornò utile
in seguito.
Utilizzando secondo il caso, l’uniforme di bersagliere o quella di alpino fuggì
nuovamente e lasciò l’Esercito della RSI per unirsi alle formazioni partigiane
di Aldo Gastaldi, che aveva conosciuto all'Istituto Galileo Galilei di Genova, di cui divenne milite convinto con il nome di “Iona” fino al
25 Aprile 1945.
Scampato miracolosamente all’eccidio della Benedicta, partecipò attivamente
alla liberazione di Genova.
Il padre Marcello, nel frattempo, si rendeva
protagonista di vari episodi di sabotaggio ferroviario tra cui l’azione
eclatante che arrestò un treno militare tedesco carico di opere d’arte
trafugate in Italia come bottino di guerra, di cui era alla conduzione, presso
la stazione di Arquata Scrivia (AL).
|
Marcello Cominetti |
Finita la guerra si impiegò nel Consorzio del porto di Genova per poi entrare
nelle FS e diventare anch’egli macchinista.
Mio padre ricorda che suo fratello maggiore teneva sotto al
letto varie scatole piene di pellicole e fotografie e la prima spesa importante
della sua vita fu una Rolleiflex biottica da cui non si separava mai. Per lui
le persone e i luoghi erano “soggetti” da fermare attraverso quell’obiettivo
Tessar f/2.8 che tante emozioni e soddisfazioni gli donò in molti anni di
fotografia vissuta.
Lo zio Giuseppe non ebbe vita felice per lunghi periodi perché sua figlia Laura
si ammalò di cancro a soli 20 anni e morì a 26 e suo figlio Marco fece la
stessa fine a poco più di 60 anni. Mancata anche sua moglie e passati i 90 anni
di età restò agile, lucido e forte fino al giorno della sua morte, avvenuta il
9 Gennaio 2018.
Come fotografo partecipò a decine e decine di Concorsi
nazionali e esteri. Una sua foto (Feritoia sul mondo)
|
Feritoia sul mondo (Napoli 1963) |
restò in esposizione
permanente al Museo d’Arte moderna di Parigi per diversi anni. Non si è mai
vantato dei suoi egregi risultati fotografici che quasi teneva intimamente
segreti e mai volle parlare delle sue esperienze di guerra se non nei suoi
ultimi giorni, come se volesse lasciare un testamento a memoria di tragedie e
orrori all’umanità al fine di non farne
più. Era e restò comunista fino alla fine e, come si conveniva alla sua
personalità, non rinnegò mai i suoi ideali politici, intellettuali e umani.
Sono orgoglioso e contento di averlo conosciuto.
Uno zio tutt’altro
che banale
Non aveva un carattere facile, mio zio. Voleva sempre andare
a fondo delle cose, importanti o semplici che fossero e non abbandonava nessun
argomento fino al suo esaurimento totale. Si può dire che per lui “spaccare il
capello in quattro” fosse il minimo da farsi, sempre. Da piccolo mi metteva
molta soggezione ma allo stesso tempo ero affascinato da questo suo essere così
efficace in tutto quello che faceva. Non era solamente intelligente e vivace ma
era assolutamente un intellettuale a cui non importava del giudizio altrui
quando doveva esporre le sue idee. Era uno che andava per la sua strada ma con
coscienza e apertura. Nonostante possa sembrare l’opposto, sapeva anche
ascoltare gli altri e si interessava a molte cose, dalla matematica alla
politica e dalla musica all’elettronica.
|
IV di copertina del libro dedicato dai nipoti
a Giuseppe Cominetti |
Costruiva per diletto amplificatori
stereo, che siglava con la marca JHC, ricercando la perfezione nella
riproduzione del suono Hi-FI utilizzando componenti sperimentali per l’epoca.
Sapeva riparare una TV, un’automobile, una scarpa, una macchina da scrivere o
un binocolo e smontava periodicamente la sua Rolleiflex per pulirla in ogni sua
parte.
Quando timidamente dissi a mio padre che mi interessava la fotografia mi mandò
da suo fratello. Io lo temevo per il suo carattere severo e ci andai tremando di
paura. Lo zio mi aspettava a casa sua a Genova all’ultimo piano in Via Galeazzo
Alessi, senza ascensore. Mi fece sedere alla sua scrivania e disse: i numeri
che vedi sulla ghiera di quest’obiettivo indicano l’apertura del diaframma e
sono il risultato della radice quadrata della misura della diagonale del…
Oddìo, mi dissi, non imparerò mai a fotografare se bisogna sapere tutte queste
cose e in silenzio seguii quella prima lezione con la ferma intenzione di non
tornarci più. Avevo 12 anni.
|
Aspettando i clienti (anni '50) |
Ebbe perfino il coraggio di dirmi di dirgli cosa
non avevo capito che me lo avrebbe rispiegato, ma io restai muto annuendo con
la testa per paura che riiniziasse con quelle cose difficili e incomprensibili.
Prima di congedarmi da lui mi diede un foglio con scritti giorni e orari delle
successive lezioni. Non sapevo come fare! Poco prima avevo iniziato delle
lezioni di pianoforte e il maestro mi faceva solfeggiare per ore e giorni
dicendo che il pianoforte l’avrei visto dopo anni. Non poteva essere così anche
con la fotografia! Io volevo guardare attraverso il mirino, mettere a fuoco,
sapere come regolare tempi e diaframmi e scattare. Ai tempi le foto si facevano
così, non c’erano automatismi.
Poco dopo mio padre mi portò, su suggerimento di mio zio, una reflex Practika
con tre obiettivi: un 50, un 35 e un 135mm. Con almeno due paghette settimanali
mi comprai un rullino Ilford FP4 in bianco e nero da 24 pose e mi presentai
dallo zio. Mi mandò in giro dicendo di riprendere tutto quello che non mi
piaceva. Uscii sempre più sfiduciato e ritrassi piccioni, una suora, la fermata
del bus, la caserma dei pompieri, dei fiori in un vaso e un barbone che
dormiva… Tornato dallo zio e riavvolto il rullino iniziò il miracolo.
Questo è il tank, mi disse e con una
manovella riavvolse il rullino impressionato dentro a quella scatola nera
circolare di bachelite, senza che si esponesse alla luce. Da un foro fatto a
imbuto vi versò dei liquidi, guardò l’orologio e iniziò ad agitare leggermente
il tappo a imbuto del tank. Dopo non
ricordo quanti minuti versò tutto nel lavandino e sotto l’acqua corrente
estrasse la pellicola con le mie foto in negativo. Entrammo in camera oscura
dove con l’ingranditore esaminammo una per una le 24 foto, che erano 25!
|
Back to back |
Di
ogni foto mio zio mi spiegava ogni dettaglio, l’inquadratura e gli spazi
intorno al soggetto principale, le direzioni di movimento dei soggetti
dinamici, le luci: LE LUCI! Dannazione, le luci saranno nel futuro l’ossessione
positiva della mia vita. Non riuscirò mai più a guardare un oggetto illuminato con
gli occhi di prima delle lezioni di mio zio.
Di carattere schivo e solitario portava con sé
l’inseparabile Rolleiflex pronto a riprendere ogni soggetto che lo
interessasse. I risultati si vedono nelle numerose immagini in cui, oltre a una
tecnica decisamente pregevole, si leggono titoli che elevano di qualità le
immagini stesse portando l’osservatore a un coinvolgimento completo, come se
quella fotografia circondasse chi la guarda su tutti i lati.
Ottimo sciatore mi insegnò l’arte dello scivolare sulla neve (occasionalmente assieme
a mio padre e a mio cugino Marco) facendomi fare indicibili faticate con gli
sci in spalla sulle alture di Genova in cambio di brevi discese nella neve
fonda. Quando più tardi mi appassionai allo scialpinismo mi tornarono
sicuramente utili quelle giornate fatte di sudore, freddo, fatica ma anche
allegria, sulle nevi pesanti del Pian dei Grilli.
|
Ciclista scalatore |
Alla sua morte il suo archivio fotografico, composto da
migliaia di negativi, non venne trovato. Riuscii, tramite i miei cugini ad
avere qualche CD con molte sue foto, purtroppo in bassa risoluzione, e quindi
dovetti rinunciare all’idea di allestire una mostra fotografica, con stampe in
dimensioni accettabili, in sua memoria.